La Nuova Sardegna

Nieddu, il paziente ha perso la pazienza

Luca Rojch
La sopravvivenza di Carlo è legata a un famaco che non arriva
La sopravvivenza di Carlo è legata a un famaco che non arriva

L’assunzione di 1200 tra medici e infermieri è rimasta ancora sulla carta dopo otto mesi. L’emergenza covid ha messo ancora più in difficoltà i presidi rimasti senza personale

28 luglio 2020
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Bisogna avere una salute di ferro per essere malati. Il sistema sanitario della Sardegna è al collasso, e sempre più sardi hanno scoperto che le promesse della Regione di integrare gli organici non hanno nessun potere curativo. La trasformazione degli ospedali in aziende, dei pazienti in clienti, delle cure in costi da sostenere ha ridotto il diritto alla salute a una sorte di roulette russa. Curarsi è uno slalom tra i disagi. E il giro degli ospedali sardi è un imbarazzante collezione di emergenze. A Nuoro mancano 22 primari su 29. La chirurgia è a un passo dalla chiusura.

A Sassari la carenza di organici è diventata insostenibile e l’intero equilibrio del sistema è a rischio, tanto che i sindacati sono pronti allo sciopero. In Gallura gli stessi medici vengono spostati da un ospedale all’altro, un po’ come gli aerei di Mussolini. A Oristano sono un passo più avanti perché sono chiusi interi reparti, come il pronto soccorso di Ghilarza. E il motivo è sempre lo stesso: la carenza di organico. Il 28 settembre 2019 la Regione suonava la grancassa della propaganda. Prometteva l’assunzione di 1200 persone tra medici e sanitari, che sarebbero stati selezionati con 60 concorsi avviati entro dicembre. Oltre otto mesi dopo non è successo nulla. O meglio la situazione è diventata ancora più grave. L’emergenza covid si è trasformata in uno stress test per tutti i presidi sanitari. Le forze si sono concentrate sulla battaglia contro il virus e negli ospedali visite e interventi ordinari, più o meno tutto quello che non era coronavirus, è stato messo da parte. Per arrivare al numero mirabolante di un milione di visite arretrate. Tutto questo più o meno a giugno di quest’anno. Nel frattempo l’emergenza è diventata la regola di lavoro. Negli ospedali si va avanti senza reagenti, senza medici, senza infermieri, e qualche volta senza ospedali. Difficile capire cosa può accadere a un paziente che ha bisogno di un intervento. L’assessore Nieddu promette che entro due mesi i concorsi inizieranno a produrre i primi risultati e che medici e infermieri inizieranno a rinforzare il fronte. Ma non spiega come farà a far funzionare gli ospedali, né quante saranno le reali assunzioni a fronte delle 1200 promesse. I nuovi camici bianchi rischiano di arrivare in corsia quando il paziente è già morto. Quando il sistema sanitario sarà già esploso sotto numeri insostenibili e una assenza di direzione politica davanti a una emergenza che manda in crisi tutti gli ospedali. Non bastano le misure spot. Né le giustificazioni che questo sistema lo si è ereditato.

La sanità ha bisogno di un intervento strutturale. Servono uomini e risorse. Serve una iniezione di liquidità nel sistema e forse anche una rivisitazione del concetto di ospedale come fabbrica che deve pensare più a produrre utili che a salvare vite. L’attenzione della Regione in questi mesi si è catalizzata più sulle poltrone che sui letti. Così le Asl, ridotte a una dal centrosinistra dopo una lotta feroce con il sistema, sono state di nuovo moltiplicate. “Senza aggiungere costi” giura il centrodestra. Da una riportate a otto. Ma ci si dovrebbe chiedere se davvero questa fosse la priorità di un sistema vicino al collasso. Fare un prelievo del sangue in una struttura sanitaria è diventata una missione impossibile, in cui il paziente capisce davvero il significato della parola paziente. Si deve attendere i tempi pantofolati del sistema pubblico della Sardegna. Forse la giunta doveva concentrarsi più sull’efficienza della macchina che sul numero dei sedili di chi la guida.

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