La Nuova Sardegna

Test per entrare in Sardegna: il braccio di ferro che disorienta

Luca Rojch
Test per entrare in Sardegna: il braccio di ferro che disorienta

15 settembre 2020
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La disordinanza è il nuovo prodotto giuridico nato dalla confusione della politica. Norme che si accavallano e generano incertezza.Un effetto forse del tutto non voluto, ma che crea caos nei cittadini. 24 ore dopo l’ordinanza del governatore Christian Solinas che regola l’ingresso nell’isola chi deve viaggiare non ha ancora chiaro cosa si può fare e cosa è vietato. Migliaia di mail, telefonate, messaggi, tutti con la stessa difficoltà e con le stesse domande. Tutti diventati esperti virologi, tra test sierologici, tamponi, falsi positivi e asintomatici. Lo slang che in questi mesi è diventato sempre più familiare. Il 14 settembre sembrava essere la data da cui la Sardegna sarebbe diventata inespugnabile, a prova di covid. Dopo avere ipotizzato il passaporto sanitario, i controlli all’ingresso sembravano una certezza. Ma la prova sul campo ha cancellato ogni tipo di riferimento. Nessun controllo in porti e aeroporti e al massimo qualche passeggero che ha portato con sé il risultato del tampone negativo. L’ordinanza più che ordinare sembra consigliare, invitare, incentivare. Ma non si capisce quale può essere la sanzione, sempre che ci sia, e chi la debba far rispettare. L’applicazione è incerta, l’effetto è certo. Chi deve partire viene preso dal panico, non sa cosa deve fare, se andare dal medico per l’impegnativa per il test, se andare in un laboratorio, se rischiare la sorte e presentarsi in aeroporto senza nulla in mano, ma solo con la promessa che il test eventualmente lo farà.

I sardi sembrano avere conquistato il diritto all’immobilità, all’impossibilità di prendere un aereo con la certezza di tornare a casa senza fare un test. E la visione ondivaga di Regione e governo penalizza i cittadini. Prima nel lockdown la Sardegna si blinda, poi si brinda in 15 giorni di follia agostana, ora si blinda di nuovo, o almeno lo si vorrebbe fare. Già perché di fatto lo strumento per farlo non esiste. La Regione e il governo da mesi portano avanti una strategia della tensione reciproca, con veti incrociati, ordinanze affondate, sgarbi istituzionali. Perché altre regioni in Italia hanno, anche se sottobanco, posto dei limiti all’ingresso dei sardi. L’isola si è trovata subito dopo Ferragosto a essere considerata non il pentolone del contagio, ma la terra avvelenata che trasmetteva il virus per contatto. Una visione distorta che ha raso al suolo i resti della stagione turistica. La grande fuga dalla Costa Smeralda è il simbolo della catastrofe economica che ha devastato il motore produttivo dell’industria delle vacanze. E in questa situazione di pandemia da sciatteria la mossa del governatore era forse scontata. Riproporre, troppo tardi e senza reali strumenti, il contestato test di ingresso. E scontata è stata anche la risposta del governo, affondarla.

Se si fa un passo indietro e si osserva il quadro d’insieme sorge un dubbio. Il dubbio che forse questo scontro non riguardi tanto la popolazione, ma una battaglia politica che si consuma a livello nazionale nella settimana che vede un turno elettorale chiave in Italia. In cui la Sardegna è solo una piccola pedina.

 

 

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