La Nuova Sardegna

Serve unità contro il coronavirus

Luca Rojch
Serve unità contro il coronavirus

Tra Regione e sindaci c’è una visione opposta su quello che andava fatto per evitare il contagio. Gli amministratori decidono di chiudere i loro comuni in un corto circuito istituzionale

29 settembre 2020
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Lockdown per contagio. Uno dopo l’altro i Comuni dell’isola si blindano per cercare di spezzare la catena del virus, spaventati dall’onda del covid. Orune, Aidomaggiore, Gavoi, Seui, sono i primi piccoli centri che hanno scelto la strada complicata della autoreclusione. Intere comunità che con coraggio e responsabilità decidono di rinchiudersi di nuovo dentro casa. I sindaci diventano piccoli monarchi dei loro centri. Con le loro leggi monoporzione decidono in autonomia misure drastiche. La Regione che per ora li lascia liberi di scegliere in una frammentazione della catena del potere.

Tante piccole repubbliche autonome. Ma le ordinanze dei primi cittadini scivolano subito nello scontro politico. Come spesso è accaduto in questi mesi. I primi cittadini chiedono che la Regione abbia un ruolo guida. Il disorientamento istituzionale sembra la naturale conseguenza. Gli amministratori decidono di chiudere il loro Comune in modo autonomo. La Regione, con l’assessore alla Sanità Mario Nieddu, bacchetta i sindaci colpevoli di creare allarme con le loro decisioni e con la critica al modello di assistenza, carente per posti letto nelle terapie intensive e per la caotica gestione della prevenzione del contagio. E in pratica tutti i sindaci ora impongono la mascherina, anche all’aperto, limitano le ore di apertura dei locali, chiedono ai loro cittadini un atto di responsabilità. All’improvviso oasi a zero contagi durante la prima ondata di covid, si trovano in queste settimane ad avere il 10 per cento della popolazione positiva. Il coronavirus, portato dai più giovani che in molti casi hanno fatto la stagione nelle coste, miniere di braccia per locali e ristoranti, e proprio per la loro età sono spesso asintomatici, è diventato il cavallo di Troia con cui il covid è riuscito a entrare anche in piccoli centri. Ma tra Regione e sindaci c’è una visione del mondo opposta. Con i primi cittadini che accusano la giunta di non avere preparato il sistema sanitario alla seconda ondata che inizia ad abbattersi. Innamorata dello slogan di un’isola covid free, che alla fine dell’estate è diventata il pentolone in cui il coronavirus ha ribollito. I sindaci accusano la giunta di avere più brindato che blindato la Sardegna in questa estate. Come incoscienti che ballano sul morbo. E di non avere utilizzato i mesi di tregua per costruire un piano di difesa davanti a una seconda ondata.

L’assessore Nieddu accusa i sindaci di terrorismo mediatico e spiega che il numero dei contagi è aumentato perché è cresciuto il numero dei tamponi. Ma forse la verità è una linea mediana. È innegabile che una seconda ondata si abbatta in queste settimane anche sulla Sardegna. E in molti casi i sindaci si trovino senza dati ufficiali a dover affrontare dei piccoli focolai nei loro comuni, senza una reale procedura da seguire. Ma è vero anche che è cambiato l’approccio al controllo del covid. Ora si fanno anche 2mila tamponi al giorno, nel periodo del lockdown si arrivava al massimo a 300. Ora si cerca di attuare un protocollo di tracciamento e controllo che dovrebbe diminuire l’impatto della malattia sulla popolazione. Le vittime sono molte meno e anche i ricoverati in terapia intensiva. Servirebbe meno tattica politica e più pratica. Servirebbe un piano per affrontare una sempre più possibile seconda ondata che dia ai sindaci una certa libertà di ordinanza, ma nello stesso ci sia una strategia di ampio respiro, che magari vada al di là del singolo comune e si adatti anche alla mutazione della malattia. Perché il coronavirus da morbo iper aggressivo che colpiva soprattutto anziani sta diventando una sorta di male endemico che si abbatte su tu tta la popolazione. La battaglia di trincea contro il coronavirus sembra ancora lunga.

@LucaRojch

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