La Nuova Sardegna

Tutti amiamo il calcio ma non è la priorità

di VANESSA ROGGERI
Tutti amiamo il calcio ma non è la priorità

Invece scopriamo che in Italia esiste un “quinto potere” che tiene banco e detta legge, e nel momento più delicato, da puro passatempo sportivo in grado di accendere i cuori dei tifosi, si...

10 ottobre 2020
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Pensavamo di aver riformulato con saggezza, là dove era necessario, la scala delle priorità per il Paese, e in generale, per la vita dei suoi cittadini. Pensavamo che la salute e il lavoro venissero prima di tutto, e che dopo tanto dolore e paura, una scuola viva e funzionante fosse il vero simbolo della ripartenza.

Invece scopriamo che in Italia esiste un “quinto potere” che tiene banco e detta legge, e nel momento più delicato, da puro passatempo sportivo in grado di accendere i cuori dei tifosi, si autoproclama al di sopra dell’emergenza sanitaria. Il mondo del calcio messo in discussione non riguarda la dimensione dello sport e degli sportivi, bensì una casta compatta di privilegiati che gravita intorno a interessi milionari e che in piena pandemia, con i contagi in rialzo e la preoccupazione del Governo alle stelle, non ci pensa due volte a sacrificare giocatori e tifosi in partite ad alto rischio.

È scomodo ricordarlo, ma risulta ormai assodato che l’anomalia a livello planetario rilevata a Bergamo abbia avuto come epicentro scatenante “l’euforia collettiva” vissuta a San Siro il 19 febbraio durante la partita Atalanta-Valencia. A distanza di mesi possiamo dire che era una partita da giocarsi a porte chiuse, invece una bomba di 40mila tifosi potenzialmente infetti è tornata a casa e nella sua deflagrazione ha lasciato a disperarsi le famiglie di 15mila vittime.

Il trinomio stadio-partite-tifosi rappresenta un contesto “socialmente aggregante” del tutto in antitesi al comportamento che viene richiesto per limitare i contagi, è normale e di buonsenso che nel momento in cui si combatte per evitare una nuova chiusura del Paese, il ministro Speranza ribadisca che per quanto il calcio sia un pezzo di economia nazionale, le cose importanti adesso sono altre, e che se dobbiamo rischiare facciamolo per le scuole, non per gli stadi. “Parliamo meno di calcio e più di scuola”.

Docenti, studenti e genitori stanno già combattendo la loro battaglia quotidiana, tra disagi e contagi lo fanno senza lamentele inutili, ligi per quanto possibile ai protocolli di sicurezza. Per ora le scuole non sono motore dell’epidemia: finora gli studenti contagiati sono 2348, ovvero lo 0,037%, e i docenti 402, lo 0,059%. Il tecnico della Nazionale Mancini, in una sorta di Roberto vs Roberto, risponde al ministro dicendo che “la scuola è un diritto come il lavoro, ma anche il calcio lo è”.

Dimenticando il fatale errore avvenuto a febbraio, se spettasse a lui decidere vorrebbe vedere gli stadi pieni. Mentre parla del ranking e dell’importanza delle folle inneggianti per mantenere alto l’umore dei giocatori, Mancini ci fa capire quanto il mondo del calcio fluttui in un universo parallelo separato dalla realtà, un mondo dorato fatto di privilegi e presunzione. Quando la Lega Calcio ostacola la decisione della Asl di Napoli presa a tutela della salute dei giocatori, con la possibilità della partita persa a tavolino, abbiamo la misura di quanto l’esclusività di un mondo ricco e potente sia lontana dai bisogni e dalle responsabilità attribuiti ai comuni mortali.

Mancini cerca di difendere il suo lavoro, ma è un tentativo oltraggioso nei confronti dei lavoratori licenziati, finiti in cassa integrazione o che hanno perso l’attività a causa della pandemia. Le nostre vite sono state stravolte, giocare il campionato non è una priorità, i signori del calcio se ne facciano una ragione. Il tecnico della Nazionale consiglia al ministro di riflettere prima di parlare? Sarebbe bene che primo applicasse i propri suggerimenti.
 

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