La Nuova Sardegna

Ritardi nei trasporti, gli studenti vanno difesi

Silvia Sanna
Ritardi nei trasporti, gli studenti vanno difesi

25 ottobre 2020
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Quanto è triste dire che era tutto previsto. Quanto è frustrante rendersi conto, ogni volta di più, di come chi ci governa sia spesso incapace di andare al cuore del problema. E affrontarlo senza incertezze, a colpo sicuro e soprattutto senza perdere tempo. E invece no, ci si gira intorno con un atteggiamento pilatesco a metà tra la superficialità e la noncuranza, sperando quasi che il problema si risolva da solo. Sulla vicenda scuola sta succedendo questo. In Sardegna come a livello nazionale. C’è un problema che si chiama “trasporto pubblico”: lo conosciamo tutti da sempre e in questi mesi di emergenza Covid è finito prepotentemente al centro dell’attenzione. Perché se la regola base ripetuta come un mantra è quella del distanziamento fisico associata all’uso (corretto) della mascherina e all’igiene delle mani, allora le immagini di autobus, treni e metropolitane affollate dicono che più di qualcosa non torna e che in quella promiscuità il virus circola e si diffonde indisturbato.

Che fare allora? L’indicazione arrivata dal mondo della scuola era chiara: gli studenti pendolari sono tanti, per farli viaggiare in sicurezza bisogna aumentare mezzi e corse. Anche perché oltre agli studenti ci sono i lavoratori e tutte le persone che utilizzano autobus o metro per gli spostamenti quotidiani. Invece il Governo che fa? Non aumenta i mezzi, ma al contrario l’indice di riempimento a bordo: se in pieno lockdown era 80, in agosto risale a 100. Il Governo e le regioni, che approvano, autorizzano sui mezzi l’utilizzo di tutti i posti a sedere disponibili e pure qualcun altro in piedi. Poi come quasi sempre accade, le regole sono fatte per essere aggirate e l’impiegato in ritardo al lavoro sale sull’autobus anche se è affollato. E lo studente che deve andare a scuola si fa il segno della croce prima di mettere piede sul pullman che lo porterà a scuola: a bordo non c’è un centimetro libero, si suda, si parla e si tossisce. Il virus ringrazia e si rianima, dopo il torpore estivo che aveva generato immotivate illusioni. I contagi aumentano ed è chiaro che il problema trasporti deve essere affrontato in altro modo.

La proposta è sempre la stessa ed è semplice: utilizziamo i mezzi delle linee private, in questa situazione di emergenza coinvolgiamoli subito, ai costi ci pensiamo dopo se è vero che “la salute viene prima di tutto”. Il consiglio regionale sardo fa un passo significativo e la norma per dare il via libera ai bus privati viene approvata a fine settembre. Tutto a posto? Neanche per sogno, perché l’ok è rimasto sulla carta. Niente privati e solo per domani l’Arst ha annunciato il potenziamento di alcune corse particolarmente affollate in coincidenza con l’ingresso e l’uscita da scuola. Troppo tardi, perché domani le scuole saranno già chiuse. Il percorso è scritto: restano solo da definire le percentuali e i tempi. I ragazzi delle Superiori, i principali fruitori dei mezzi pubblici, riaccenderanno il pc a casa per ricominciare con la didattica a distanza. Non tutti, però: niente da fare per chi abita dove non c’è connessione, dove il digitale è ancora un sogno. I ragazzi stanno a casa, come se la colpa sia loro e non di chi non è stato capace di risolvere il problema, anzi non l’ha neanche voluto affrontare.

Niente scuola in classe per 15 giorni, dice il governatore Solinas. E dopo due settimane che succederà? Riusciranno i nostri politici a fare in due settimane quello che non hanno fatto per mesi? Riusciranno, per una volta, a mettere al primo posto i giovani, il loro diritto a imparare, a crearsi un futuro? Quanto è triste dire che tutto questo era stato previsto. Quanto sarebbe bello finalmente ricredersi.

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