La Nuova Sardegna

L'alta formazione artistica e musicale: un'eccellenza che in Sardegna non è equiparata alle università

Antonio Bisaccia *
L'orchestra del Conservatorio Canepa nel concerto di inizio anno del 2019
L'orchestra del Conservatorio Canepa nel concerto di inizio anno del 2019

Lettera aperta al governatore: va eliminata la disparità di trattamento dell'Accademia di Sassari e dei Conservatori di Cagliari e Sassari. Un regime ingiusto che risale alla legge regionale 26 del 1996

03 dicembre 2020
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Illustrissimo Presidente Solinas, le scrivo perché, risiedendo e operando da 25 anni in Sardegna, la considero il mio legittimo Presidente. Sembra che il Covid-19 sia diventato il più importante e prolifico legislatore non solo dell’isola ma anche della penisola. Il virus in parola sta infatti decretando, in un crescendo rossiniano e in modo oltremodo efficace, la gestione delle disuguaglianze a tutti i livelli. Mentre la morte è, come diceva il grande Totò, una “livella”, la sopravvivenza ai tempi del Covid, invece, acuisce e radicalizza i dislivelli sociali.

Non sono un sociologo, né un economista, e quindi cito soltanto l’esperienza diretta nel settore in cui opero che è quello della coltivazione delle menti, ovvero la formazione. E, più precisamente, la formazione terziaria che si fregia(va) di essere un’attività dotata – da sempre – di una certa aura: l’arte, che, a sua volta, opera nell’ampio genus della cosiddetta cultura. Ma torniamo alla formazione terziaria, che dovrebbe essere il massimo livello della formazione nel nostro sistema didattico, e pensiamo a una delle due metà del suo mappamondo: la formazione artistica, rappresentata dalle istituzioni dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica.

Nell’isola, per chiarezza, il mondo dell’Afam sardo è questo: Accademia di Belle Arti di Sassari, Conservatorio di Cagliari e Conservatorio di Sassari, che definirei – senza tema di smentita – eccellenze stricto sensu. Mi creda sulla parola, Presidente Solinas, perché qui non c’è spazio a sufficienza per descriverne le attività riconosciute anche livello nazionale. In Sardegna dal 1999, anno in cui queste istituzioni sono state equiparate – da una legge nazionale – all’Università, vige un regime improprio e profondamente ingiusto di disparità di trattamento. Mi riferisco alla Legge Regionale n. 26 del 1996 che regola i rapporti tra la Regione Sardegna e le Università dell’isola.

Sono 10 anni (dieci) che lo dico e sottolineo in ogni sede, confidando che un giorno si trovi finalmente il Governatore illuminato che ponga fine a questa palese violazione del diritto di ogni cittadino sardo, che intraprende gli studi di livello universitario, ad avere le medesime possibilità in ordine ai servizi erogati, agli strumenti messi a disposizione, etc. Se la meritocrazia, quella etica, ha un senso, ebbene bisogna intervenire al più presto. L’appeal della meritorietà dovrebbe connotarsi come equilibrio perfetto tra abilità innate, impegno e risultato. Ricetta semplice, ma difficilissima per via delle infinite variabili che questi tre elementi sono in grado di produrre in ordine ai mezzi “esterni” che vengono messi a disposizione. Il merito non è una cognizione assoluta, esso subisce le variabili espanse di parametri economico-sociali non riconducibili a univocità. Ciò, dunque, dipende da una molteplicità di condizioni. Una di queste è il nastro di partenza.

Se vogliamo giocare una partita in serie A dobbiamo entrare in campo con gli stessi mezzi, ovvero non a piedi nudi mentre gli altri magari hanno le scarpette chiodate: non sarebbe una partita valida, si produrrebbe un risultato ingannevole. Ed è quello che succede – appunto – dal 1999. Da allora nessuno ha mai preso in mano questo problema tentando non dico di risolverlo ma di esaminarlo. Ci sono due soluzioni possibili. Una nell’immediato e una a medio termine. Non parlo del lungo termine perché ce lo siamo già giocato. La prima è di adeguare, in maniera concreta, quel contributo indistinto per Accademia e Conservatori – purtroppo inadeguato – presente nell’ultima finanziaria.

Lo impone anche la ripresa delle attività didattiche nel post-lockdown (e nel periodo dei nuovi confinamenti della seconda ondata) dell’anno accademico in corso, con tutti i problemi che sono cresciuti a dismisura, anche perché il Covid-19 è stato (ed è) il pettine che ha portato in evidenza – e aumentato la consistenza – dei problemi già preesistenti. Un esempio? Il digital divide. Se a questo aggiungiamo le varie declinazioni del digital divide, dal digital divide sociale al digital divide culturale fino al digital divide infrastrutturale, ci rendiamo conto che lo tsunami dell’abbandono degli studi può essere epocale. Quello infrastrutturale, ad esempio, è un problema molto importante – in molte aree della regione – soprattutto quando si usano strumenti che sono affamati di connettività veloce, come nel caso delle lezioni in live streaming. Senza contare che la famiglia del digital divide si compone, come già annotava Al Gore nel 1996, di information haves e di have-nots e che questo genera fenomeni di esclusione e “discriminazione nativa”.

Un esempio eclatante che evidenzia la disparità di mezzi a disposizione delle Afam è che per affrontare il digital divide sociale, alimentato da questa pandemia, abbiamo avuto dallo Stato – per gli studenti – una somma risicata (poco più di 20.000 euro) con cui abbiamo potuto “solo” pensare a una fornitura di 200 hot spot con sim inclusa per fronteggiare la fame di giga che attanaglia le lezioni online. Per farla partecipe del divario di partenza cui accennavo, l’Università di Sassari ha potuto meritoriamente investire – per fortuna degli studenti universitari – “7 milioni di euro per dotare gli studenti di pc, tablet e strumenti di connettività in comodato d’uso gratuito”. E’ questo il vero discrimine. Ovvero, ci sono studenti sardi che sono messi in condizioni di studiare con servizi adeguati e altri studenti sardi che partono decisamente svantaggiati sol perché hanno avuto la “sfortuna” di avere un talento artistico e non magari scientifico, matematico o altro.

Per ciò che riguarda il medio termine, invece, le strade sono due. O s’inserisce l’Afam sardo nella legge regionale n. 26 del 1996 – e sarebbe equo perché non si differenzierebbe l’intervento su base “disciplinare” (dato che le istituzioni nominate sono pari grado), oppure si formula una legge urgente in cui si sanciscano, una volta per tutte, le “Norme sui rapporti tra la Regione e le istituzioni Afam della Sardegna”. Norme in cui nel primo articolo (in analogia a quanto normato dalla legge sopra citata per le università) si dia conto che l’articolo 5 dello Statuto speciale per la Sardegna, in particolare secondo il comma a) riguardante gli interventi sull’istruzione di ogni ordine e grado e ordinamento degli studi, e comma c), riguardante antichità e belle arti, si applica anche all’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica dell’isola. Fine della disparità.

* Direttore dell'Accademia Sironi di Sassari

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