La Nuova Sardegna

Per l'isola risorse, non veleni - L'EDITORIALE

Luca Rojch
Per l'isola risorse, non veleni - L'EDITORIALE

Il peso delle servitù: in Sardegna 35mila ettari sono off limits perché riservati ai militari

06 gennaio 2021
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Il governo è pronto a tirare il bidone. Forse servirà un bonus nucleare per far sembrare meno mostruosa l’idea di fare di un’isola incantata un deposito di scorie. Da Roma con disinvoltura la Sardegna viene inserita nella lista breve dei possibili siti nucleari. Ma nello stesso tempo si promettono compensazioni, bonus e premi. L’isola potrebbe diventare una ricca pattumiera radioattiva.

Forse sarebbe giusto immaginare un destino differente dopo oltre 60 anni di servitù militari. In Sardegna ci sono 35mila ettari di territorio vincolati e destinati ai giochi di guerra, i tre più grandi poligoni d’Europa, il 60 per cento delle servitù militari di tutta Italia. E in molti hanno già dimenticato la base Usa della Maddalena in cui sguazzavano, dentro un parco nazionale, i sottomarini nucleari a stelle e strisce. In coda a quasi tutte le classifiche nazionali per reddito, infrastrutture, trasporti, indice di industrializzazione, occupazione, la Sardegna scivola verso il sud del mondo. La Sardegna nella classifica europea sulla competitività è 233esima su 268 regioni. Avrebbe bisogno di un piano Marshall, di un forte investimento di intelligenze e risorse per risollevarsi da questo eterno affanno. In una corsa taroccata in cui l’ultimo vagone non riuscirà mai cambiare la sua posizione. La tempesta del coronavirus ha accelerato il percorso verso il baratro.

Difficile capire quale sia la logica che spinge un governo nel cuore di una pandemia a far partire una roulette russa tra sette regioni per decidere quale diventerà la pattumiera della nazione. Forse servirebbe più efficienza nella campagna di vaccinazione di massa, più certezze sulla riapertura in presenza del mondo della scuola, più sostegno per il fragilissimo tessuto imprenditoriale. Difficile capire anche perché la Sardegna sia stata inserita in una lista di regioni candidabili, nel 2011 un referendum regionale aveva sancito l’indisponibilità dell’isola a ospitare scorie radioattive. Ma il tentativo di regalare il bidone va avanti da quasi 30 anni. Sempre con la stessa litania. Prima l’indiscrezione, poi un annuncio semiufficiale e alla fine la dissoluzione della proposta che scompare in dissolvenza. Travolta dalla protesta popolare. E anche questa volta la reazione è stata a senso unico. Tutti contro l’ipotesi presentata in queste ore. Con tutti i partiti sulla stessa linea. Non sarà semplice imporre un deposito contro la volontà di un’intera regione. Qualcosa che va oltre l’effetto nimby, not in my back yard (non nel mio giardino), per cui qualsiasi comunità locale si oppone alla realizzazione di opere pubbliche con impatto rilevante. L’isola, che ha forse nella sua natura selvaggia e incantata la sua riserva aurea, non può essere convertita in pattumiera nucleare.

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