La Nuova Sardegna

La maschera che ci salva e ci annulla

di VANESSA ROGGERI
La maschera che ci salva e ci annulla

L'umanità senza volto e l'incertezza non solo del futuro ma anche del presente

17 gennaio 2021
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La pandemia sta davvero rivoltando il mondo se gli studenti italiani sono arrivati a fare sit-in e occupare i licei per chiedere di tornare in classe in presenza. Ai miei tempi ogni scusa era buona per fare sciopero e saltare le lezioni, oggi in tutto il Paese i ragazzi protestano al grido di No Dad, mentre sventolano lo slogan più significativo: «Avevate in mano il nostro futuro e ce l’avete tolto». Perché dei mutamenti radicali che l’emergenza sanitaria ha imposto alla nostra esistenza, sebbene li rispettiamo, fatichiamo a farcene una ragione.  

Perché quando ad essere incerto non è soltanto il futuro, ma il presente, la quotidianità di noi comuni cittadini, è normale che a un certo punto ansie e nervosismi prendano il sopravvento. Quasi un anno fa, dall’oggi al domani siamo stati costretti a cambiare modo di vivere, a modificare le nostre relazioni con parenti, amici, estranei; a lavorare da casa, a isolarci, a temere “l’altro” come possibile untore, a rinunciare alle libertà più elementari, quelle che davamo per scontato prima che uno spartiacque epocale venisse tracciato l’11 marzo 2020.

Al di là dei dati aridi sciorinati dai bollettini giornalieri, del bombardamento mediatico incentrato sul Coronavirus, a prescindere dal pensiero compassionevole rivolto alle famiglie vittime della tragedia, al di là di tutto questo è indubbio che perdere il contatto umano, sapere che la propria sicurezza economica è appesa a un filo, la solitudine e la paura del contagio, generino effetti psicologici deleteri che possono sfociare in stress, depressione e insonnia.

Sono le libertà proibite, quelle fisiche ma soprattutto quelle che abbiamo nella testa, a renderci maggiormente irrequieti: non è tanto il non poter uscire di casa a farci male, quanto il sapere di non poterlo fare, la mancanza di possibilità. Vietata la scuola, vietati i cinema, i teatri, i musei, i concerti, le palestre, i viaggi, i ristoranti, i bar e persino i matrimoni. Rispettate il coprifuoco, distanziatevi e non abbracciate i nonni, mentre aspettiamo il vaccino.

Domani “riapriamo tutto”, o forse no, “chiudiamo tutto”; salute versus economia; zona gialla o zona rossa, si vedrà: navighiamo a vista. È un condizionamento inconscio, un costante stato di incertezza, aggravato da un Governo instabile, che genera sfiducia e gradualmente sta conducendo a un esaurimento collettivo.

Non siamo liberi nemmeno di respirare come ci pare e piace. Col passare dei mesi indossare la mascherina ha prodotto un effetto psicologico collaterale riscontrabile soprattutto al supermercato, unico luogo frequentabile ormai concesso e osservatorio sociale dei comportamenti umani. Forse dipenderà da un eccesso di attenzione, ma da quando siamo costretti a coprirci il volto mi pare di aver notato che sempre più persone – soprattutto adulti, uomini e donne – tendono a tingersi i capelli con colori vistosi, verde, viola e blu, come se inconsciamente volessero dire al resto dei propri simili “sono qui, esisto anch’io”, come se avessero necessità di affermare il proprio sé.

Celare il viso, mezzo primario di comunicazione, equivale ad annullare l’identità personale, a erigere una sorta di muro di separazione, a isolare pur rimanendo in mezzo alla moltitudine. “Nessun uomo è un’isola”, scriveva John Donne, poiché facciamo parte di un tutto chiamato umanità; è vero però che la pandemia rischia di frammentare la Pangea umana in arcipelaghi ben distanziati tra loro, proiettando i più giovani in universi virtuali e ingannevoli.

Un mio amico dice sempre che il figlio sedicenne vive “dentro il telefono”, che questa situazione sta aggravando una tendenza già forte instillando nei ragazzi la paura di vivere, inibendo il desiderio istintivo di essere protagonista della propria vita, di esporsi fisicamente entrando in contatto concreto con i coetanei. Rifiutando l’idea di demandare la mia vita a un avatar, mi chiedo se sia davvero tutta colpa del virus, o se non abbiamo soltanto esasperato una gabbia che ci siamo costruiti con le nostre mani.


 

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