La Nuova Sardegna

Vaticano

I dieci anni di Bergoglio: «Quella del Papa è una missione ad vitam»

di Marco Impagliazzo
I dieci anni di Bergoglio: «Quella del Papa è una missione ad vitam»

«Se invece stiamo a sentire il ‘chiacchiericcio’ bisognerebbe cambiare papa ogni sei mesi!»

22 febbraio 2023
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Il pontificato di Francesco sta per compiere 10 anni. Da più parti si sono levate voci su sue possibili dimissioni per motivi di salute. In realtà, in un colloquio con i gesuiti nella Repubblica Democratica del Congo il papa ha sgombrato il campo dalle voci: «È vero che ho scritto le mie dimissioni due mesi dopo l’elezione e ho consegnato questa lettera al cardinale Bertone, nel caso che abbia qualche problema di salute che mi impedisca di esercitare il mio ministero, che non sia cosciente per poter rinunciare. Questo però non vuol dire che i papi dimissionari debbano diventare una ‘moda’, una cosa normale. Io credo che il ministero del Papa sia ad vitam. Non vedo la ragione per cui non debba essere così. E la tradizione storica è importante. Se invece stiamo a sentire il ‘chiacchiericcio’, beh, bisognerebbe cambiare papa ogni sei mesi!».

Francesco ha anche allargato il discorso, operando un paragone con quanto avviene nella Compagnia di Gesù, dove il generalato è a vita, e dove è giusto che le cose rimangano così. Anche perché, ha concluso il pontefice, una tale soluzione è stata scelta per fondate ragioni, “per evitare i calcoli elettorali, le fazioni, il chiacchiericcio”. “La Civiltà Cattolica” ha condiviso le parole pronunciate del papa facendoci comprendere meglio l’animus con cui Bergoglio vive il suo ministero, ma anche spazzando il campo da dietrologie e dai bisbigli di corridoio che occupano tanto spazio sui media, e che ci fanno perdere la sostanza dell’impegno portato avanti dal papa. E la sostanza è un lavoro continuo, indefesso, attento alla Chiesa e al mondo. È impressionante vedere il ritmo con cui Francesco gestisce i propri appuntamenti, il disbrigo degli affari quotidiani, le tante occasioni di incontro e di parola. Quella di Francesco non è la consueta agenda di un ultraottantenne, con un ginocchio malandato. Né è l’agenda di chi si prepara a lasciare l’incarico. Il suo è un cammino di responsabilità e di continuità con quanto hanno fatto gli altri papi anziani del passato. Le parole pronunciate davanti ai gesuiti in Congo sono allora un richiamo a una missione cui non ci si sottrae, ma anche una risposta insieme netta e arguta a coloro che hanno utilizzato gli acciacchi di un uomo anziano e il continuo riemergere del tema della “rinuncia” per cercare di indebolire la forza profetica del pontificato bergogliano, la sua tensione al tempo stesso radicale e popolare. È stato il “gioco” degli ultimi anni, tornato a farsi più audace di recente, in coincidenza con la morte di Benedetto XVI. Francesco ha chiarito: «Io credo che il ministero del papa sia ad vitam. Non vedo la ragione per cui non debba essere così». Anche perché i grandi temi dell’attualità premono, e il pontificato si confronta con le angosce e le speranze dell’umanità, non certo con i malesseri alimentati dal gossip. Quel che sta cuore al papa è - lo si vede bene dalle risposte alle domande fattegli a Kinshasa e a Juba - tutt’altro. È la grande tragedia delle guerre che si prolungano e incrudeliscono, tanto da fargli dire «Mi dispiace dirlo, ma sono un po’ pessimista». È l’immenso problema del cambiamento climatico. È la possibilità di un cammino più spedito verso l’unità dei cristiani o i segnali incoraggianti che giungono dal dialogo interreligioso. È la sfida di una Chiesa che curi “le ferite del mondo”. Francesco incarna la tensione all’unità tra i popoli: una profezia tra Chiese in conflitto (come gli ortodossi), tra mondi che si ignorano o si combattono. Viene da chiedersi se le freddezze o le ostilità verso di lui, celate dietro il chiacchiericcio sulle possibili dimissioni non provengano da un rigetto di fondo della sua visione: quella di una globalizzazione umana e spirituale in un mondo unificato solo da un punto di vista finanziario e mediatico, ma in realtà diviso e spietato. Francesco, proponendo una Chiesa in uscita, traccia il percorso di una comunità vi va che non si identifica con una minoranza di nostalgici del passato o con un gruppo di servitori dei nuovi padroni, ma è portatrice della profezia del Vangelo che non può certo far contenti tutti. Di fronte a tutto questo il pensiero delle dimissioni non esiste: “No, non mi è passato per la mente”, ha chiuso Bergoglio in Sud Sudan.

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