La Nuova Sardegna

Oristano

Supermarket in continua crescita: negozi in “ritirata”

di Michela Cuccu
Supermarket in continua crescita: negozi in “ritirata”

Grande e media distribuzione su 14mila metri quadrati L’Ascom: «Questa liberalizzazione non aiuta il territorio»

04 marzo 2016
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ORISTANO. Provate a immaginare che per ogni residente, neonati compresi, in città ci siano due metri quadrati di negozio. Se la vita delle persone dovesse trascorrere al 90 per cento a fare acquisti, andrebbe anche bene. Nessuno però passa l’intera esistenza a fare la spesa. Insomma, qualcosa non quadra. Eppure sono i numeri a confermare una concentrazione di spazi destinati alla vendita decisamente elevato per una città con poco più di 30mila abitanti. Dal rapporto stilato nel 2015 dalla Confcommercio, nella sola Oristano risultano esserci sette supermercati (con una superficie di vendita di 4504 metri quadrati); un ipermercato che si estende per 5638 metri quadrati, dieci mini mercati, che occupano complessivamente 2895 metri quadrati e un grande magazzino da 400 metri quadrati. Nel resto del territorio della provincia la tendenza è sempre verso l’alto: 37 i supermercati (13.962 metri quadrati); 24 mini mercati (per un totale di 7.197 metri quadrati di superfici e di vendita) e ben nove grandi magazzini che occupano in tutto 3614 metri quadrati. Numeri che potrebbero parlare da soli.

È Marco Frongia, rappresentante del settore dell’Ascom di Oristano, ad aggiungere ulteriori elementi che dimostrano come in questa città le strutture commerciali continuano ad espandersi. «A quel rapporto mancano infatti due strutture che potremo definire della grande distribuzione, una ha aperto di recente, l’altra lo sta per fare. È come se considerassero Oristano come un grande mercato, dove c’è tanta capacità di acquisto. Purtroppo, le cose non vanno così».

Frongia spiega: «Sono gli effetti della liberalizzazione delle licenze, norma europea che noi di Confcommercio, e non solo, abbiamo sempre criticato. Non è con questa forma di liberalizzazione che può decollare l’economia». La riflessione di Frongia è su due fronti. Da un lato, l’occupazione: «Certo, quando apre una struttura di vendita di notevoli dimensioni, vengono assunte delle persone. L’altra faccia della medaglia è data però dal fatto che nel frattempo, altri del settore del commercio perderanno il lavoro e saranno sempre i più deboli, i piccoli negozi, destinati a chiudere».

E non è un problema di concorrenza: «Il mercato è molto cambiato negli ultimi decenni. Nel settore degli alimentari, anche le aziende più piccole si sono collegate fra loro, unendosi nei gruppi di acquisto in modo da essere competitivi. Il problema – spiega – diventa pesante quando sulla piazza si insediano strutture di vendita non collegate con il territorio.

Vendono prodotti che arrivano da oltre Tirreno, non hanno alcun interesse a collegarsi con le aziende produttrici locali, che, perdendo potenzialità di mercato, spesso soccombono. E siccome anche chi produce a sua volta fa acquisti, il sistema non funziona più. Saltano gli equilibri ed è allora che ci si accorge che forse, non è questo il modo di governare il commercio».

Il problema è che di contromisure non se ne vedono: «Non ci sono strumenti di legge», conclude Frongia.

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