La Nuova Sardegna

Oristano

I gusti e il mercato hanno mutato un paziente lavoro artigianale

I gusti e il mercato hanno mutato un paziente lavoro artigianale

ORISTANO. «Restare sul mercato, per noi artigiani, è sempre più complicato». Luciano e Giuseppe Vacca sono panificatori di seconda generazione. Il padre, Nino, impiantò il suo laboratorio in città...

16 marzo 2016
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ORISTANO. «Restare sul mercato, per noi artigiani, è sempre più complicato». Luciano e Giuseppe Vacca sono panificatori di seconda generazione. Il padre, Nino, impiantò il suo laboratorio in città ben 65 anni fa, arrivato da Gonnosfanadiga, centro che storicamente si contende con Sanluri il ruolo di “patria” de su civraxiu, uno dei pani più tipici in Sardegna.

«La tipicità del nostro prodotto e la diversificazione sono state sempre le nostre bandiere. Ma adesso servono regole e leggi più certe».

Certo, Oristano è il capoluogo della tipicità del pane. Nel suo circondario sono infinite le eccellenze: si va dal pane di Villaurbana a su tziki di Samugheo (recentemente tutelato dal marchio Deco, introdotto la Comune) per arrivare a su chivarzu, prodotto nelle zone più a Nord.

Pane eccellente che sempre più raramente arriva sulle nostre mense. Parlano senza mezzi termini i fratelli Vacca del problema che anche i panificatori di Oristano accusano ormai da tempo: il calo dei consumi di pane fresco. «La gente compre sempre meno pane artigianale, sempre più si orienta verso i prodotti industriali, surgelati, rifiniti nella cottura nelle strutture di vendita. Trattandosi di prodotti industriali, hanno un prezzo alla vendita che può essere anche inferiore del 40 per cento del pane artigianale».

Che il crollo delle vendite sia stato percepito anche a Oristano è confermato: «Pensate – dicono i Vacca – che nemmeno la liberalizzazione delle licenze ha rilanciato il nostro settore. Si pensava che nascessero nuovi panifici in città, invece, nel frattempo uno a chiuso e in una città piccola come questa non è un aspetto secondario».

Insomma, il pane prelavorato, surgelato e importato è diventato un concorrente difficile da sconfiggere. «In realtà – dicono i fratelli Vacca – tutto il nostro lavoro è cambiato con l’avvento della grande distribuzione. Da anni, ad esempio, abbiamo dovuto rinunciare al riposo settimanale perché negli ipermercati c’era il pane fresco anche di domenica. Cosa che per i laboratori artigianali ha comportato un aumento dei carichi di lavoro e l’assunzione di nuovo personale senza però incrementare gli utili».

Ma il cambiare dei tempi non si è limitato a produrre questo effetto. Altre mutazioni, forse più importanti, sono in atto. «Adesso c’è il pane surgelato che dal nostro punto di vista, pane non è. Da anni come categoria chiediamo che il legislatore adotti una norma chiara. Altrimenti, il pane artigianale, quello vero, scomparirà». (m.c.)

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