La Nuova Sardegna

Oristano

Omicidio Casula, condanna a trent’anni

di Enrico Carta
Omicidio Casula, condanna a trent’anni

Gavino Madau colpevole dell’assassinio del compaesano, preso a sprangate il 31 ottobre del 2014 nella sua casa

22 settembre 2016
2 MINUTI DI LETTURA





PAULILATINO. Finisce come l’accusa chiedeva. I dubbi, non solo giuridici che la difesa aveva sollevato, vengono spazzati in un attimo dalla sentenza. Gavino Madau, allevatore di 48 anni, è l’assassino del compaesano Giovanni Casula e di anni in carcere ne dovrà passare trenta. Omicidio volontario premeditato, senza possibilità di attenuanti, questo stabilisce la sentenza che arriva al termine di un rito abbreviato che somiglia tanto anche a un caso di coscienza perché, secondo la difesa, coinvolge anche la morale andando oltre la questione del diritto.

Che Gavino Madau fosse davvero l’assassino ci sono pochi dubbi. Le prime prove presentate appaiono inequivocabili anche a chi non conosce per intero gli atti. Quando i carabinieri della Compagnia di Ghilarza arrivarono al suo arresto nel giugno del 2015 c’erano troppi indizi perché si potesse dubitare che non fosse stato lui ad entrare nella casa di Giovanni Casula nella notte tra il 30 e il 31 ottobre del 2014 e a massacrarlo a colpi di spranga al cranio. Sembrava un processo scontato, invece la prova regina è sparita dalle carte in mano al giudice proprio quando tutto era già in fase avanzata.

La Corte di Cassazione aveva infatti dichiarato inammissibile uno dei cardini dell’intera inchiesta. Nella macchina di Gavino Madau, nell’ambito dell’indagine per un precedente omicidio a Paulilatino, era stato piazzato un rilevatore satellitare gps. Serviva per monitorare gli spostamenti di una persona sospettata del delitto di Serafino Angelo Vidili, sospetti che poi non trovarono riscontri. Il gps rimase però nell’auto di Gavino Madau anche dopo che era scaduta l’autorizzazione a intercettarlo e ritornò utile per dare un volto e un nome all’autore del secondo delitto. Ma quelle rilevazioni satellitari sono dovute uscire dal processo perché la legge dice che non si può intercettare un cittadino in perpetuo. Il pubblico ministero Paolo De Falco ha più volte chiarito che quella strumentazione è rimasta piazzata nell’auto di Gavino Madau perché fu impossibile provvedere a smontarla.

Gli avvocati difensori Gian Luigi Mastio e Marcello Sequi avevano ribadito il primato del diritto che impedisce che un individuo possa trovarsi “spiato” 24 ore su 24 per tutta la vita. Bisogna attendere le motivazioni della sentenza per capire cosa, in realtà, abbia spinto il giudice Annie Cecile Pinello a decidere per la condanna a trent’anni. Potrebbe anche aver ritenuto sufficienti gli altri indizi, senza tenere conto del gps. In fondo, c’erano una spranga piena di sangue e un litigio tra vittima e carnefice.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
L’iniziativa

Il porcetto sardo in corsa per la denominazione Igp

Le nostre iniziative