La Nuova Sardegna

Oristano

«Migliorare a costo zero e fiducia nel pubblico» 

di Enrico Carta
«Migliorare a costo zero e fiducia nel pubblico» 

È alla guida di una coalizione che definisce «civica e indipendentista» «Dare tutto in mano ai privati è un errore. In Comune ci sono le risorse giuste»

08 giugno 2017
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ORISTANO. Vincenzo Pecoraro, medico, è il prescelto dalla coalizione “Prima Oristano”. Guida un’alleanza tra Udc, Cittadini per Oristano, Partito dei Sardi e la civica Idee Rinnovabili. La sua intervista conclude l’approfondimento elettorale che ha visto protagonisti tutti e sei i candidati alla carica di sindaco.

Nella sua lista c’è un po’ di Italia, un po’ di identità sarda, un po’ di civismo?

«Considero la nostra coalizione civico indipendentista. I partiti italiani con noi c’entrano poco e niente, eccezion fatta per l’Udc che però è un partito fortemente radicato in Sardegna. Considero anche la lista dell’Udc alla stregua di una lista civica. È per questo che il nostro obiettivo è creare un nuovo modello di gestione, noi mettiamo Oristano al centro e vogliamo una democrazia di tipo deliberativo. Non devono più verificarsi episodi come quelli che hanno visto i comitati opporsi alle decisioni del sindaco che non può andare per la sua strada, ma deve ascoltare la gente».

Queste elezioni arrivano in un momento in cui l’economia oristanese è però avvitata in una spirale di crisi pluridecennale da cui non riesce a uscire.

«È uno dei motivi che mi ha spinto a candidarmi. Abbiamo un Pil pro capite di 15mila euro. È una situazione triste per chi come me ha figli che ha visto partire e che non torneranno mai a Oristano. Amministrare è molto difficile, ma oliando la macchina comunale, si può certamente dare una spinta anche all’economia. Non è mai stata fatta una mappatura delle competenze e già questo farebbe funzionare meglio l’apparato. Io provengo dall’esperienza nel mondo della sanità in cui, a costo zero, attraverso una migliore distribuzione delle competenze abbiamo migliorato la qualità del lavoro».

Costo zero, quindi. Ma quali settori ne avrebbero giovamento?

«Innanzitutto penso all’edilizia. La politica comunale deve accompagnare l’incontro tra le ricchezze e tradurlo in attrattività. Un altro ambito in cui potremmo agire è quello dei bandi europei diretti e indiretti attraverso i quali c’è la possibilità di ottenere importanti finanziamenti e quasi a costo zero c’è la possibilità di avere soldi dallo sviluppo delle lottizzazioni previste dal Piano urbanistico. Il costo iniziale della lottizzazione è un costo importante e a ciò si può ovviare proprio attraverso un intervento del Comune che può abbatterlo in maniera totale o parziale».

Pubblico e privato. Lei è l’unico dei sei candidati che continua a scommettere sul ruolo dell’ente pubblico spingendosi a dire che persino la gestione del porticciolo di Torregrande debba rimanere in capo al Comune.

«La mia è una considerazione di natura ideologica. Il fatto di darla al privato è una considerazione tipicamente italiana che nasce dalla cultura del sospetto che il pubblico non può gestire assolutamente nulla perché nel pubblico c’è gente che non lavora. Invece abituiamoci a considerare l’attuale situazione da un altro punto di vista: i problemi sardi nascono dal problema Italia. È l’amministrazione italiana che ci crea dei problemi, quindi il pubblico, se messo nelle condizioni di ben operare e sgombrando il campo dalla cultura del sospetto e ancora mettendo le persone giuste nel posto giusto, può generare utili. Questo vale anche per il porticciolo di Torregrande».

Restiamo ancora a Torregrande. Se dovesse vincere, quale futuro turistico vede per la borgata la sua coalizione?

«Da un lato attendiamo l’avanzare del progetto della Ivi che finalmente garantirà un numero notevole di posti letto e abbellirà la pineta, anche se questo è un discorso che taluni non recepiscono. Di fatto però la manutenzione sulla pineta era necessaria perché molta della vegetazione aveva finito il ciclo biologico. Oggi la pineta è in condizioni fatiscenti e chi non vede questo vive solamente di ideologie o non è mai stato in pineta. Ovviamente non basta solo l’investimento della Ivi e credo che per Torregrande vada rivisto il piano particolareggiato in modo da favorire l’insediamento di nuove attività commerciali che devono occupare l’intera fascia dal porticciolo al pontile. Per l’accoglienza mi rifarei al sistema creato a Trapani dopo l’addio dei militari: serve una rete formata da tantissime strutture di dimensioni non grandi ma diffuse su tutto il territorio».

Ci spostiamo di qualche chilometro dal mare. Questo sistema, sposato con la cultura, può funzionare anche per la città?

«È indispensabile che sia così. Noi ci siamo dimenticati della grande storia arborense che al momento non è un fattore incidente sulla destinazione dei flussi turistici né lo è come narrazione suggestiva che possa indurre nel viaggiatore il desiderio di visitare un posto come Oristano. Naturalmente serve avere i monumenti aperti almeno due volte alla settimana, magari attraverso la costituzione di associazioni temporanee di scopo che li gestiscano».

Restando nel centro storico affrontiamo il problema molto sentito del decoro urbano.

«Non ci abita più nessuno e non ci sono più attività. Noi non faremo pagare le tasse comunali per cinque anni a chi ci va ad abitare e chiederemo deroghe volumetriche alla Regione perché si instaurino attività a basso impatto ambientale nel recupero della grande tradizione commerciale oristanese. Per i ruderi che oggi tutti vediamo, si potrebbe concertare un trasferimento di proprietà con il Comune che concede agli attuali proprietari spazi in altre zone della città. A quel punto potrebbero diventare aree verdi o parcheggi e sparirebbero le case diroccate».

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