La Nuova Sardegna

Oristano

Prete accusato di sfruttamento, il testimone: «Mai visto le ragazze che si prostituivano»

Michela Cuccu
Prete accusato di sfruttamento, il testimone: «Mai visto le ragazze che si prostituivano»

Oristano, ribaltate alcune dichiarazioni rilasciate durante l’indagine. Sotto accusa don Usai, l’ex responsabile della comunità Samaritano

11 maggio 2018
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ARBOREA. «Non ho mai visto le nigeriane prostituirsi. Se l’ho detto ai carabinieri, è perché era quello che pensavamo un po’ tutti delle donne nere». Cesar Valverana, cittadino sudamericano, per quasi un anno stette all’interno della comunità Il Samaritano in regime di semilibertà. Ieri, in tribunale a Oristano, testimone dell’accusa al processo che vede imputato l’allora responsabile della comunità, don Giovanni Usai (difeso dall’avvocato Anna Maria Uras) di favoreggiamento della prostituzione e abusi sessuali ai danni di una delle ospiti della struttura, Valverana ha rappresentato una realtà ben diversa da quella resa ai carabinieri durante le indagini.

Lo stesso pubblico ministero Marco de Crescenzo, durante la lunga deposizione, ha mosso diverse contestazioni al testimone che spesso ha detto di non ricordare molte cose, persino i nomi delle persone che vivevano nella comunità. Valverana che al Samaritano era stato nel 2004, davanti al collegio giudicante presieduto da Carla Altieri, ha descritto la vita all’interno della comunità: «Le porte erano sempre aperte, circolavano tante persone, non solo interni alla struttura o volontari, ma anche estranei. Non tutte le ragazze nigeriane stavano scontando delle pene, la maggior parte erano semplicemente ospiti e per questo godevano di maggior libertà rispetto a noi che, anche se uscivamo, dovevamo rispettare gli orari di rientro».

Quello che doveva essere uno dei testimoni importanti per l’accusa, ha più volte corretto le dichiarazioni che aveva reso a verbale durante l’inchiesta che portò al rinvio a giudizio anche di Gabriel Imasidou Osarhewinda, cittadino nigeriano, attualmente in carcere e difeso dall’avvocato Carlo Figus. «Sì è vero, definii la comunità un troiaio, ma nel senso che non c’era controllo, non perché vi si praticasse la prostituzione», ha detto Valverana in un’udienza che, anche se svolta in pieno 2018 per alcuni momenti ha assunto un’atmosfera da medioevo, con dichiarazioni rese agli investigatori che all’epoca portarono ad un processo con imputazioni pesanti e che oggi, almeno per il testimone, più che verità erano solo opinioni. «Le ragazze la sera, dicevano che andavano a fare la spesa, ma siccome salivano in auto di uomini esterni alla comunità, fra di noi detenuti si diceva che andavano a prostituirsi, ma era solo una battuta», ha proseguito il testimone che a più riprese è andato avanti spiegando che il tempo avrebbe cancellato tanti ricordi di quel periodo trascorso ad Arborea. Vero è che la comunità metteva a disposizione dei suoi ospiti una navetta proprio per queste esigenze e che più di un sospetto generò invece il fatto che le ragazze salissero in auto con altre persone.

La memoria è improvvisamente ritornata nitida quando le domande dei magistrati hanno riguardato i rapporti dei detenuti in semilibertà con don Giovanni Usai. «Noi lavoravamo anche dieci ore nei campi, ma non sempre ci pagava. A volte, restavamo delle settimane senza neppure i soldi per le sigarette. Don Usai diceva che non c’erano soldi, invece noi sapevamo il contrario. Se protestavi poi, la risposta era sempre la stessa: tornatene in carcere».

Il processo proseguirà il 21 giugno, per l’audizione di altri testimoni dell’accusa.

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