Lancio di oggetti sulle case dei migranti: «Gesto grave, ma non razzismo»
Parla uno dei genitori dei tredici ragazzi coinvolti nelle molestie alla comunità senegalese e rom
ORISTANO. «Una bravata, ma non ha niente a che vedere con il razzismo. Non voglio sminuire la gravità dell’episodio, sono stato alquanto severo con mio figlio, ma quel che mi sento di escludere è che dietro il gesto dei ragazzi ci sia qualcosa di discriminatorio legato al colore della pelle o all’etnia di appartenenza». A qualche giorno dalle tredici denunce per il danneggiamento, le molestie e il lancio di oggetti e petardi contro le case delle comunità senegalese e rom, è uno dei genitori dei ragazzi coinvolti a raccontare il delicato momento che anche la sua famiglia sta vivendo. Ribaltando i punti di osservazione della vicenda e accantonando i commenti sbrigativi da social network, anche una bravata, a seconda del momento in cui viene commessa, diventa ben più grave della sua reale portata. O almeno tale appare agli occhi della società.
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«La nostra è una famiglia dove si è sempre respirata tolleranza – spiega il genitore che chiede l’anonimato, anche perché nella vicenda sono coinvolti diversi minorenni –, nostro figlio mai ha sentito parole discriminatorie nei confronti di alcuno. Abbiamo conoscenze e rapporti di lunga data con la comunità senegalese, alla quale abbiamo rivolto le nostre scuse a seguito dell’accaduto».
E allora quel che è successo nelle notti d’estate a Oristano può davvero essere qualcosa di molto simile a una bravata, «i cui esiti vanno oltre la consapevolezza che i ragazzi avevano del gesto, compreso mio figlio, presente peraltro ad un solo episodio – prosegue il genitore –. Ecco perché chiamato dalla questura a riferire su quanto accaduto ha tranquillamente ha spiegato cosa fosse accaduto, ignaro che quanto commesso potesse avere delle conseguenze. Le indagini serviranno a riportare questi eventi nella giusta luce, è giusto che le forze dell’ordine svolgano il loro lavoro. Nonostante le migliori intenzioni, noi genitori siamo esposti alla possibilità che i nostri figli possano comportarsi non in maniera corretta». Spesso anche inconsapevolmente.
Sono stati gli stessi agenti della Digos, il prefetto Ferdinando Rossi e il procuratore della Repubblica Ezio Domenico Basso a chiarire come pressoché nessuno dei ragazzi coinvolti avesse afferrato che quel gesto potesse avere risvolti penali. E le reazioni dei ragazzi, qualcuno dei quali ha candidamente ammesso di aver partecipato agli “scherzi” non fanno altro che confermare questa versione.