La Nuova Sardegna

Oristano

Dalle prime feste nella piazza di Città alle corse in via Duomo

Dalle prime feste nella piazza di Città alle corse in via Duomo

Inizialmente erano le autorità cittadine a organizzarla Nel 1700 i gremi diventano i depositari della tradizione

23 febbraio 2020
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La storia non è incardinata sui binari. Somiglia a un fiume con le sue anse di cui è difficile capire perché abbia preso a scorrere in quel modo. Vale anche la piccola storia della Sartiglia di cui, per giunta, si fatica a trovare la fonte. Oltre a quel documento del 1547, la fine del XVI e tutto il XVII secolo regalano una serie di documenti in cui si fa riferimento alla sortilla. Non una, ma tante. Mai nei giorni di carnevale e sempre legate a eventi che dovevano omaggiare i reali di Spagna o in occasioni religiose. È il caso del 1616, quando le reliquie di Sant’Archelao, patrono di Oristano, vengono traslate da Fordongianus in città. È lo stesso anno in cui a Sant’Antioco vengono trovate le reliquie del santo sulcitano e anche a Iglesias, che a sua volta si fregiava del titolo di Città regia, si corre una sortilla. Non era quindi solo una prerogativa oristanese quella di correre all’anello con giostre che si svolgevano in tutti quei centri sardi in cui avevano sede gli organi amministrativi. Ma è qui, a Oristano, che il seme germogliato dà vita a una pianta che continua a produrre gemme. Oggi la giostra segue un copione consolidato su un doppio teatro, quello di via Duomo e via Mazzini, che non era quello originario. Lo sviluppo urbanistico ha cambiato Oristano e infatti le prime sortillas si correvano nella piazza di Città, l’attuale piazza Eleonora. Il luogo non è casuale, perché vi dimorano le autorità che si affacciano dai balconi per ammirare i cavalieri. Grida e bandi invitano il popolo agli spettacoli, che mai si svolgono a carnevale – i documenti parlano di giugno, luglio, agosto –. Il ruolo di mantenidor, il capo della giostra, è ricoperto dalla massima autorità civica che paga con soldi pubblici l’anello d’argento, le lance, le stoffe per i costumi e le bardature dei cavalli. Finito il tempo del galoppo, la festa si concludeva con un ballo «secondo l’uso della terra».

Nel 1701 entrano in gioco i sette gremi, due di questi, quello dei contadini e dei falegnami, hanno perpetrato sino a oggi la tradizione. Con le corporazioni dei lavoratori tutto cambia perché l’invito a cimentarsi nella sfida all’anello è esteso ai majorales dei gremi stessi che, oltre ai due già citati, comprendono anche i muratori, i calzolai, i figoli, i sarti e i fabbri. Nel XVIII secolo, nei documenti ufficiali di una giostra organizzata dall’autorità civica cui partecipano anche i contadini, compare il nuovo bersaglio da centrare: è il 1716 e sotto il mantenidor Sisinnio Paderi si corre alla stella per celebrare la nascita del principe delle Asturie. Successivamente saranno ogni volta i contadini a cimentarsi nella corsa alla stella, così come i falegnami perpetuano la tradizione della corsa con le lance e i figoli si cimentano in una corsa in cui i cavalieri devono evitare di essere colpiti dalle alcancias, palle di terracotta. Con la Sardegna che passa dagli Asburgo ai Savoia si corre a la estrella per i tre matrimoni di Carlo Emanuele III di Savoia. Dopo il 1750 le casse dello Stato si svuotano e la storia cambia. Diventa quella di oggi con un lascito del canonico Dessì e la successiva permuta di un terreno tra i fratelli Mameli e il gremio dei contadini. Forse è per questo che ci si sposta nella via dove ha sede la curia. (e.carta)

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