La Nuova Sardegna

Oristano

Processo a Oristano: «Padre padrone, mio fratello si è difeso»

Michela Cuccu
Processo a Oristano: «Padre padrone, mio fratello si è difeso»

Drammatica testimonianza sul tentato omicidio di Simala. Il figlio della vittima si schiera con l’imputato

28 febbraio 2020
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ORISTANO. Una donna vedova con quattro figli ancora ragazzini incontra un uomo che crede possa restituirle la felicità. Invece si rivela violento, tanto da costringere i quattro ragazzi a scappar via di casa.

La tragedia di una famiglia, che fino ad ora era riuscita a non far trapelare all’esterno il proprio dolore, è emersa ieri nei particolari più intimi, nell’aula del tribunale di Oristano dove si sta celebrando un processo per tentato omicidio, per la precisione un tentato parricidio.

I fatti risalgono alla primavera di un anno fa, quando, un uomo di 68 anni, Giovanni Ibba, venne trovato dai carabinieri e da un equipaggio del 118 riverso per terra nella sua abitazione. Èra stata una vicina ad avvisare in caserma, svegliata di soprassalto dai rumori che provenivano dalla casa accanto. Qualche giorno dopo verrà arrestato il figlio della vittima, Alberto Ibba, di 43 anni, accusato dal padre di aver cercato di ucciderlo, buttandolo giù dalla scala e tentando di strangolarlo.

Una versione dei fatti confermata dalla vittima (costituitosi al parte civile con l’avvocato Rinaldo Saiu) alla quale però i figli della donna che aveva sposato non credono.

«Solo dopo il matrimonio Giovanni Ibba si rivelò per quello che era: un alcolizzato, violento e prepotente, tanto da picchiare nostra madre che era incinta di otto mesi di Alberto, minacciando di uccidere lei e il bambino che aveva in grembo. Si salvò scavalcando il balcone e trovando rifugio nell’appartamento vicino».

Biagio Vacca, testimoniando davanti ai giudici del collegio (presidente Carla Altieri, a latere Elisa Marras e Serena Corrias) ha ripercorso quegli anni difficili di quando, lui poco più che adolescente e appena uscito dal collegio dove aveva studiato, dovette affrontare una scelta di cuore della madre.

«Vivevamo ancora a Novara – ha detto – io lavoravo e me ne andai via di casa a 16 anni perché quell’uomo pretendeva che io gli versassi tutto il mio stipendio».

Rispondendo alle domande dell’avvocata Pamela Rita Puddu, che difende Alberto, riferendo del patrigno lo ha definito «un padre padrone. In casa doveva comandare solo lui e mia madre e noi subire. Andava a prostitute e una volta, che avevo 14 anni, costrinse anche me a farlo – ha detto – riuscimmo a portare via nostra madre quando lui intraprese una relazione con un’altra donna dalla quale ebbe un altro figlio. Da quello che sappiamo, anche lei lo denunciò ai carabinieri». Le botte erano la consuetudine «Una volta prese a cinghiate anche l’altro mio fratello». Poi il racconto dei fatti più gravi, avvenuti quando, a seguito della morte della madre, Alberto tornò in Sardegna a stare dal padre «Credevamo che con il passare del tempo quell’uomo si fosse addolcito, ma un giorno mio fratello mi chiamo dicendomi di averla combinata grossa. Mi disse che il padre lo aveva ferito con una roncola e che lui lo aveva spinto a terra». Racconto confermato anche dalla sorella Miriam Vacca. «Gli dissi di andare dai carabinieri ma lui non volle». «Quando abitavo con loro ricordo mia madre che aveva paura di quell’uomo che viveva alle sue spalle e spendeva i soldi per ubriacarsi e giocarli al poker». Il processo prosegue il 23 aprile con l’interrogatorio dell’imputato.

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