La Nuova Sardegna

Oristano

La missione in corsia dal San Martino di Oristano sino alla zona rossa

di Piero Marongiu
La missione in corsia dal San Martino di Oristano sino alla zona rossa

I venti giorni a Rovereto dell’infermiere Raffaele Frau: «Non mi sento un eroe, ho fatto soltanto il mio dovere»

21 maggio 2020
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ORISTANO. Quando la Protezione civile nazionale ha pubblicato un bando con il quale cercava infermieri da inviare negli ospedali del Nord Italia per fronteggiare l’emergenza sanitaria, Raffaele Frau, coordinatore infermieristico di chirurgia e urologia dell’ospedale San Martino di Oristano, non ci ha pensato un solo istante. Ha compilato e inviato il format attraverso il quale dava la sua disponibilità all’impiego nelle zone rosse di Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Liguria e Trentino Alto Adige. Era come avere già in tasca il biglietto, doveva solo attendere di conoscere la sua destinazione.

«Ho pensato soltanto che i miei colleghi erano ormai allo stremo e qualcuno doveva sostituirli, altrimenti non ce l’avrebbero fatta a reggere allo stress generato dallo stato di emergenza in cui stavano lavorando da troppi giorni – dice Raffaele Frau –. Le immagini televisive e i reportage realizzati dalla stampa nelle zone più colpite dal coronavirus, eliminavano qualunque incertezza». Quando ha inviato il format, non pensava che sarebbe stato chiamato di lì a qualche giorno. E invece è quello che è accaduto. «Oltre 10mila colleghi di tutta Italia avevano dato la disponibilità all’impiego nelle zone rosse. Un numero incredibile a fronte delle 500 unità richieste, per cui era possibile che non venisse richiesta la mia presenza. Invece, dopo pochissimi giorni, sono stato contattato per un’ulteriore verifica del mio curriculum, poi è arrivata la convocazione a Roma, nella sede della Protezione civile, dove mi è stata assegnata la destinazione: Rovereto in Trentino Alto Adige. Quasi un gioco del destino visto che quello è un luogo a me caro, perché durante la Grande Guerra, con la Brigata Sassari, vi ha combattuto mio nonno materno».

L’impiego di Raffaele Frau nel reparto Covid dell’ospedale locale è durato oltre venti giorni. Un periodo intenso e di impegno costante, di lavoro ad alto rischio, senza sosta e senza risparmio di energie, perché la situazione in cui doveva operare non ammetteva cedimenti. Non è un caso che medici e infermieri siano stati definiti fin dall’inizio dell’emergenza Covid-19 angeli ed eroi. Raffaele Frau, come tutti i suoi colleghi, non si sente però tale, ma ritiene di essere soltanto un professionista, preparato e scrupoloso, che ha fatto per intero il proprio dovere. L’esperienza maturata in quel contesto, però, non è di quelle che si dimenticano facilmente. «Mi rimarrà la grande umanità dei colleghi provenienti da tutta Italia. Li ho incontrati e conosciuti lì e con loro ho lavorato fianco a fianco. Mi hanno fatto sentire a casa – conclude –. Ho trovato solo persone generose oltreché preparate nel loro lavoro. Professionisti dal grande cuore, che hanno stretto teneramente tra le proprie le mani dei malati, di tutti indistintamente, senza guardare l’età o la gravità della malattia, ricevendo in cambio un sorriso e un grazie, spesso pronunciati con gli occhi».

La stessa umanità che l’ha condotto sin lì e ora, con l’emergenza che si affievolisce, ha conservato nel suo bagaglio.

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