La Nuova Sardegna

Oristano

Terralba, spegnersi da soli al tempo del Covid

Michela Cuccu
Terralba, spegnersi da soli al tempo del Covid

Ilaria Pani racconta il dramma del marito Stefano, ammalato di mesotelioma, prima dell’ultimo viaggio a casa

25 maggio 2020
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TERRALBA. «Se quella mattina non avessi telefonato al reparto, nessuno mi avrebbe avvertita che mio marito si stava spegnendo». È una terribile testimonianza di quanto sia devastante morire in tempi di coronavirus anche se non per causa del Covid 19, quella di Ilaria Pani. «L'ultimo ricovero di mio marito è stato in piena emergenza Covid – racconta – al Brotzu poi l’ho riportato a casa. Ma non respirava bene, e allora chiamai il 118. Arrivati al pronto soccorso del San Martino non mi hanno permesso di uscire dall'auto e fuori dall’ospedale ho atteso la conferma del ricovero avvenuto. Non mi hanno mai permesso di andare a trovarlo: gli unici contatti sono avvenuti telefono, anche con i medici che non mi hanno mai detto che stava peggiorando». L'ultima telefonata risale ad un pomeriggio di un mese fa, quando, all’improvviso, la chiamata si interrompe. «Pensai che lui fosse stanco e che aveva spento il telefono perché non se la sentiva di parlare – racconta la signora – così la mattina successiva chiamo l'ospedale. Mi risponde un medico “signora, vado a vedere”. Pochi minuti dopo mi dice “no, è ancora vivo”. Quando chiedo spiegazioni, trasecola e mi fa: ma come, ieri non le hanno telefonato?». No, Ilaria non ha ricevuto nessuna telefonata, nessuno si era preoccupato di informarla che Stefano, suo marito, stava morendo. Lei chiede di poterlo vedere, almeno in videochiamata che avviene grazie alla disponibilità di una infermiera. «Era talmente sofferente che non lo riconobbi subito. Mi feci forza e dopo lunghe insistenze riuscii a farlo uscire dall'ospedale e portarlo a casa, a morire. In ospedale non volevano lasciarlo andare perché c'era il Covid ma lui non era positivo: non potevo lascairlo morire da solo».

Stefano Pani faceva il muratore e aveva 46 anni, quando, due anni fa il mesotelioma pleurico, inizia a divorare il suo organismo. La diagnosi esatta, purtroppo, arriverà troppo tardi, solo dopo le insistenze della moglie che oggi, ha deciso di rendere pubblico il suo calvario. Tutto inizia nel 2018, quando, per 4 mesi, Stefano Pani finisce in ospedale con un versamento pleurico che nonostante le terapie, non guarisce. «Gli curavano la broncopolmonite ma purtroppo, non era quella la sua malattia. Invano chiedemmo per tutto quel periodo esami più approfonditi, ma niente, solo quando mi decisi a farlo visitare in privato, finalmente gli fecero una biopsia». Racconta la signora: «Era marzo, il medico ci disse di stare tranquilli e ci esortò ad andare in vacanza, anche perché la prima diagnosi parlava di “trauma toracico”». Ad agosto arriva la diagnosi, quella vera. Ilaria e Stefano non sia arrendono, cercano un ospedale che pratichi cure innovative e lo trovano in Veneto. Iniziano i viaggi della speranza «Andiamo a Mestre, poi all’ospedale di Aviano – racconta la signora – dove mio marito subisce l'asportazione della pleura. Ma lui non guarisce, anzi, ha bisogno di continue cure, fuori Sardegna e dobbiamo lottare per ottenere il rimborso delle spese di viaggio». Ilaria e Stefano intuiscono da subito la causa di quel male: «Mio marito faceva il muratore, vent'anni fa era impegnato a smantellare tetti di eternit e lo faceva senza protezioni, perché in quel periodo non erano obbligatorie». L’anno scorso accettano di testimoniare pubblicamente la loro che in realtà è una tragedia condivisa da tantissime persone e per la Giornata mondiale delle vittime dell'amianto, con l'associazione degli ex esposti (Areas), raccontano la loro esperienza agli studenti di una scuola. Praticamente l'ultima uscita pubblica prima che a gennaio, comparissero le metastasi.

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