La Nuova Sardegna

Oristano

La magistratura blocca i fanghi della Geco

di Enrico Carta e Giulia Serra
La magistratura blocca i fanghi della Geco

Accolta la richiesta della procura: sigilli all’impianto di trattamento di reflui contestato per la puzza insopportabile. Indagato il legale rappresentante

15 luglio 2020
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MAGOMADAS. Puzzano di reato i fanghi di Magomadas. Ieri mattina l’impianto della società Geco, dove vengono trattati reflui da depurazione, è chiuso. Non le ferie, ma un provvedimento della magistratura ha messo a tacere i macchinari e probabilmente anche le proteste della maggior parte dei residenti di Magomadas, Tresnuraghes, Tinnura e Flussio che ora vedono accolte le loro richieste. Da tempo sollecitavano infatti la chiusura dell’impianto, tanto da essersi spinti sino a presentare diversi esposti in Procura, mentre il Comune di Magomadas presentava diffide a Provincia e autorità sanitarie e il Comitato per la Malvasia si appellava al Tar senza però riuscire ad ottenere l'annullamento della determina provinciale che, nel 2018, aveva dato il via libera all’attività della Geco.

Non si è fermata ai sigilli l’azione della magistratura oristanese. Il sequestro dell’impianto ha come conseguenza inevitabile quella dell’iscrizione di un nome sul registro degli indagati. È quello di Leonardo Galleri (difeso dall’avvocato Danilo Mattana), il legale rappresentante dell’azienda che opera in Planargia, ma che ha dei collegamenti imprenditoriali importanti con la Puglia, regione da cui proviene la gran parte dei fanghi che vengono poi lavorati a Magomadas e che sprigionano quell’odore insopportabile che da oltre un anno tormenta i residenti dei paesi lì attorno. Proprio l’odore, meglio definirlo puzza o miasma, è oggetto di contestazione da parte della procura oristanese che coordina l’inchiesta affidata al Nucleo investigativo provinciale del Corpo forestale. L’emissione di vapori e odori pericolosi si accompagna a quella più generica di reato ambientale, commesso perché l’intera attività avverrebbe senza le autorizzazioni necessarie per il tipo di lavoro che vi viene svolto.

È per questo motivo che una decina di giorni fa il pubblico ministero Marco De Crescenzo, in coordinamento col procuratore Ezio Domenico Basso, aveva presentato alla giudice per le indagini preliminari la richiesta di sequestro dell’impianto. Esaminati gli atti, la giudice Annie Cecile Pinello ha ordinato l’apposizione dei sigilli e così, ieri mattina, gli agenti del Corpo forestale si sono presentati nello stabilimento.

Sono gli stessi agenti che da tempo indagavano e che, nelle scorse settimane, dopo aver precedentemente raccolto numerosi documenti in Comune, avevano convocato varie persone per avere un quadro completo della situazione. D’altro canto la ditta continuava a ribadire che la propria azione si stava svolgendo nel solco della legalità, ma il provvedimento di sequestro cambia di molto la prospettiva da cui guardare il caso, anche perché l’azione della procura ha ottenuto già così un primo parere favorevole da parte della magistratura giudicante.

Il provvedimento di sequestro verrà ora esaminato dai legali della ditta e non è escluso, anzi è probabile, che ci sia un’immediata richiesta di riesame nel tentativo di annullare il sequestro. Sono passi futuri, azioni ancora da compiere che comunque spostano la vicenda dei fanghi su un nuovo palcoscenico. Sinora, mentre l’indagine andava avanti silente, la vera battaglia si era combattuta a parole. L’unico suono che si poteva sentire di continuo era quello delle proteste sulla stampa, degli interventi durante consigli comunali o riunioni politiche e della costituzione dei comitati contrari all’impianto. Ora non più. Da questo momento l’affare Geco è soprattutto una questione penale.

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