La Nuova Sardegna

Oristano

«Gettò il padre dalle scale»: l’accusa chiede 14 anni in aula a Oristano

di Enrico Carta
«Gettò il padre dalle scale»: l’accusa chiede 14 anni in aula a Oristano

Per il pubblico ministero Alberto Ibba è colpevole di tentato omicidio

17 luglio 2020
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SIMALA. Il pubblico ministero non ha dubbi e chiede la condanna a 14 anni per tentato omicidio. Alberto Ibba, 47 anni, avrebbe tentato di uccidere il padre Giovanni in una notte di aprile dell’anno scorso gettandolo giù dalle scale, afferrandolo al collo e poi sbattendo la sua testa ripetutamente contro il pavimento.

Di dubbi, per la verità nemmeno l’avvocatessa Pamela Rita Puddu ne ha: ritiene il suo assistito innocente. È così che si è consumato lo scontro tra accusa e difesa nella penultima udienza del processo che si concluderà giovedì prossimo. Il primo a prendere la parola è stato il pubblico ministero Andrea Chelo che ha insistito sulla premeditazione portando a sostegno della sua tesi vari elementi, nel momento in cui ha ricostruito quel che avvenne quella notte e anche nei mesi precedenti. Il tentato omicidio sarebbe stato infatti l’apice di una violenza che aleggiava dentro la casa in cui padre e figlio vivevano nuovamente assieme, dopo che le loro strade si erano divise per via del comportamento dell’anziano che aveva interrotto anche i rapporti con i figli dell’ex moglie.

Secondo la ricostruzione dell’accusa, Alberto Ibba, sarebbe rientrato in casa attorno alle 2 del mattino e sarebbe entrato nella camera da letto del padre sveglindolo e chiedendogli di alzarsi perché giù c’erano delle persone che lo attendevano. Quando l’anziano si avvicinò alle scale sarebbe stato spinto e, una volta agonizzante in terra, ulteriormente aggredito. Il figlio avrebbe indossato dei guanti in lattice per fare in modo di non avere su di sè tracce di sangue, quindi avrebbe lasciato il padre in terra e si sarebbe diretto nel terreno di campagna di un amico, dove avrebbe bruciato gli abiti sporchi di sangue. Solo dopo qualche ora, chiamò i carabinieri raccontando che il padre non era in casa e che sulle scale c’era una pozza di sangue.

In realtà i carabinieri erano intervenuti da tempo, allertati da una vicina di casa che sentiva l’anziano lamentarsi e da subito stavano cercando il figlio, sospettando che tutto si fosse consumato tra le mura domestiche.

La tesi dell’accusa ha trovato il sostegno anche dell’avvocato di parte civile, Rinaldo Saiu, che tutela la vittima dell’aggressione. La difesa ha proposto invece una versione opposta chiedendo l’assoluzione perché non c’è alcuna prova del fatto che il figlio abbia aggredito il padre, tanto meno che tutto ciò potesse essere premeditato. Una caduta quindi sarebbe all’origine di tutto, tanto più che nemmeno le cartelle mediche regalano certezze. In attesa della sentenza, lo stesso Alberto Ibba è stato intanto rinviato a giudizio anche per altri due reati commessi sempre nei confronti del padre. Dovrà rispondere anche di maltrattamenti in famiglia ed estorsione.

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