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L’odissea di un positivo: «Da un mese ostaggio del virus»

di Maria Antonietta Cossu
L’odissea di un positivo: «Da un mese ostaggio del virus»

ABBASANTA. Da un mese ostaggio del covid e di un sistema sanitario incapace di garantire indistintamente un’assistenza adeguata alle centinaia di malati in isolamento domiciliare. Angelo Serafino...

10 dicembre 2020
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ABBASANTA. Da un mese ostaggio del covid e di un sistema sanitario incapace di garantire indistintamente un’assistenza adeguata alle centinaia di malati in isolamento domiciliare. Angelo Serafino Mele, 58 anni di Abbasanta, denuncia la totale assenza dei medici dell’Ats. Sostiene di non essere stato visitato dagli operatori dell’Usca per tutto il decorso della malattia, di non essere stato contattato per telefono, se non dopo numerose insistenze, e di essere da cinque giorni in attesa di conoscere l’esito del tampone di controllo.

«Ho eseguito il test venerdì e ancora ignoro i risultati. Questo non solo mi impedisce di tornare a una vita normale dopo trenta giorni di isolamento, ma anche di sottopormi a ulteriori accertamenti per individuare le cause del mio dimagrimento e per verificare se i valori ematici siano ancora alterati», riferisce il paziente che ha tentato invano di venire a capo della questione reclamando i referti all’Ats e all’Usca. «Mi sono sentito trascurato e abbandonato. È mancata l’assistenza a domicilio, ma è stato difficoltoso anche comunicare per telefono», accusa.

I suoi guai sono cominciati il 10 novembre, quando ha avvertito i primi sintomi. Dietro indicazione medica, inizialmente ha trattato la sintomatologia con gli antibiotici, ma il malessere aumentava. Si è quindi sottoposto ai test sierologico e molecolare, che ha rilevato la positività. Dopo qualche giorno ha richiesto l' intervento del 118: «La febbre non calava e continuavo a stare male, quindi il 22 novembre sono stato ricoverato all’ospedale di Bosa, dove per tre giorni mi sono stati somministrati eparina, cortisone e flebo».

Una volta alleviati i sintomi Angelo Mele è tornato a casa, ma sono insorti altri problemi: «Ho dovuto contattare io l’ospedale per ricevere una terapia e sempre io ho telefonato, spesso a vuoto, all’assistenza domiciliare per avere indicazioni su come e quando scalare le dosi. Voglio denunciare pubblicamente queste carenze perché altri non subiscano ciò che ho patito», chiarisce Mele, che ora reclama il diritto a essere informato sulle sue condizioni: «Io e la mia compagna, positiva asintomatica, non sappiamo se ci siamo o meno negativizzati. Questo ci logora anche a livello psicologico: ci impedisce di uscire, di accudire le persone care e nel mio caso di fare altri accertamenti sanitari». Il caso non è isolato e all'origine del problema c’è la carenza di personale che il recente potenziamento delle Usca non ha definitivamente sanato.

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