«Non ero io la spia dei cavalieri»
di Michela Cuccu
Sartiglia 2018, il carabiniere imputato per divulgazione di segreto istruttorio respinge le accuse
04 dicembre 2021
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ORISTANO. «Non mi sono mai occupato dell’inchiesta sull’antidoping alla Sartiglia. Non ne sapevo nulla. Infatti ne venni a conoscenza solo quando Roberto Pau mi mostrò l’avviso di garanzia che arrivò anche a me, ma soltanto il giorno successivo». Sono le parole dell’imputato Antonio Mancinelli, il carabiniere accusato di violazione del segreto istruttorio nell’ambito di uno dei processi che discesero dalla movimentata Sartiglia del 2018. Secondo l’accusa, qualche settimana dopo la conclusione della giostra, avrebbe avvertito alcuni cavalieri che la procura stava indagando su di loro per la sostituzione di persona commessa per evitare che, cavalieri che avevano fatto uso di droghe o sostanze dopanti, risultassero positivi ai controlli antidoping.
Il militare, che all’epoca era assegnato al nucleo di polizia giudiziaria, assistito dagli avvocati Lorenzo Soro e Valentino Casula, in pochi minuti, raccontando la sua verità, dà una rilettura opposta a quelle delle tesi accusatorie. Davanti ai giudici del collegio, presidentessa Carla Altieri, a latere Serena Corrias e Marco Mascia, rispondendo alle domande degli avvocati e del pubblico ministero Armando Mammone, titolare del processo dopo il trasferimento del procuratore Ezio Domenico Basso, Antonio Mancinelli ha spiegato che non poteva essere a conoscenza di quelle indagini, anche perché non era il suo ufficio a occuparsene.
Le intercettazioni, sulle quali si è basata gran parte dell’inchiesta, non avvenivano in tribunale, ma in questura. Mancinelli, finito nella ridda dei sospetti per le sue conoscenze con alcuni cavalieri, ieri conferma solo una cosa: ovvero che lui e la sua famiglia conoscevano il sartigliante Roberto Pau. Erano proprietari di un cavallo custodito nella scuderia di Pau. In quel periodo, il carabiniere e il sartigliante avevano contatti più frequenti, soprattutto al telefono, come accerteranno i tabulati. Ma il motivo non sarebbe legato alle indagini su quell’edizione della giostra, che per via degli strascichi giudiziari verrà ricordata come la Sartiglia dei veleni.
In quel periodo il cavallo dei Mancinelli era malato e sia lui che la moglie e la figlia chiamano il proprietario della scuderia per avere notizie sulle condizioni del loro animale che più tardi, morirà. Insomma, non sarebbe la spia, il carabiniere infedele che arriva a violare il segreto istruttorio, divulgandolo per favorire i suoi amici, come invece fino ad ora ha sostenuto l’accusa. Il 2018 è infatti l’anno dei controlli antidoping a tappeto e alcuni cavalieri pensarono di sfuggire alle sanzioni ideando uno scambio di identità, ma da lì nacque il processo da cui ebbe poi origine quest’altro che vede imputato il carabiniere. Il clima dell’udienza di ieri, che ha chiuso l’istruttoria, è stato certamente diverso da quello piuttosto teso, delle precedenti, caratterizzate dagli scontri tra l’ex procuratore Ezio Domenico Basso e gli avvocati difensori. La fine del processo è attesa per la prossima primavera. Il 25 marzo, infatti, il pubblico ministero presenterà le sue richieste, poi la parola passerà ai difensori.
Il militare, che all’epoca era assegnato al nucleo di polizia giudiziaria, assistito dagli avvocati Lorenzo Soro e Valentino Casula, in pochi minuti, raccontando la sua verità, dà una rilettura opposta a quelle delle tesi accusatorie. Davanti ai giudici del collegio, presidentessa Carla Altieri, a latere Serena Corrias e Marco Mascia, rispondendo alle domande degli avvocati e del pubblico ministero Armando Mammone, titolare del processo dopo il trasferimento del procuratore Ezio Domenico Basso, Antonio Mancinelli ha spiegato che non poteva essere a conoscenza di quelle indagini, anche perché non era il suo ufficio a occuparsene.
Le intercettazioni, sulle quali si è basata gran parte dell’inchiesta, non avvenivano in tribunale, ma in questura. Mancinelli, finito nella ridda dei sospetti per le sue conoscenze con alcuni cavalieri, ieri conferma solo una cosa: ovvero che lui e la sua famiglia conoscevano il sartigliante Roberto Pau. Erano proprietari di un cavallo custodito nella scuderia di Pau. In quel periodo, il carabiniere e il sartigliante avevano contatti più frequenti, soprattutto al telefono, come accerteranno i tabulati. Ma il motivo non sarebbe legato alle indagini su quell’edizione della giostra, che per via degli strascichi giudiziari verrà ricordata come la Sartiglia dei veleni.
In quel periodo il cavallo dei Mancinelli era malato e sia lui che la moglie e la figlia chiamano il proprietario della scuderia per avere notizie sulle condizioni del loro animale che più tardi, morirà. Insomma, non sarebbe la spia, il carabiniere infedele che arriva a violare il segreto istruttorio, divulgandolo per favorire i suoi amici, come invece fino ad ora ha sostenuto l’accusa. Il 2018 è infatti l’anno dei controlli antidoping a tappeto e alcuni cavalieri pensarono di sfuggire alle sanzioni ideando uno scambio di identità, ma da lì nacque il processo da cui ebbe poi origine quest’altro che vede imputato il carabiniere. Il clima dell’udienza di ieri, che ha chiuso l’istruttoria, è stato certamente diverso da quello piuttosto teso, delle precedenti, caratterizzate dagli scontri tra l’ex procuratore Ezio Domenico Basso e gli avvocati difensori. La fine del processo è attesa per la prossima primavera. Il 25 marzo, infatti, il pubblico ministero presenterà le sue richieste, poi la parola passerà ai difensori.