Rivolta contro le 78 panchine per la pubblicità: «Sono brutte e fuori contesto»
Le interviste ad artisti, urbanisti, architetti e critici d’arte: ecco perché non piacciono
Oristano In principio fu curiosità. Quando si seppe a cosa servono «quella specie di affari marron» fu sorpresa. Ora siamo al limite dell’indignazione. Tavole, disegni e posizionamenti erano stati decisi a monte, nel 2020, con il Piano generale degli impianti approvato dal Comune. Oggi, cinque anni dopo, le 78 sedute integrate con pannelli pubblicitari e monoliti in acciaio corten fornite dalla società aggiudicataria dell’appalto sono ormai disseminate in giro per la città. Perlopiù inutilizzate, confermano l’impressione della loro prima comparsa, la scorsa estate: non convincono e, nella maggior parte dei casi, non piacciono.
Fuori contesto Trovare un parere tecnico non è facilissimo: non tutti hanno la voglia di esporsi pubblicamente su un argomento che scotta. Il critico d’arte Ivo Serafino Fenu non ha, invece, mai nascosto il suo netto giudizio: «Le ho trovate brutte, invasive. L’arredo urbano è necessario, certo, ma dal punto di vista funzionale questa installazione non funziona: l’acciaio si scalda d’estate e diventa freddo d’inverno, nessuno le userà. E mi pare che non ci siano neppure le affissioni». La bocciatura estetica, per Fenu, è senza appello: «Sono grevi, decontestualizzate, ma in questa città manca proprio il gusto, manca la cura per l’estetica. È come l’intervento di piazza Ungheria: ci voleva del genio per fare qualcosa di più brutto di quello che c’era prima. Qui manca la capacità di confrontarsi con chi ha competenza nella materia, e l’umiltà di ammettere i propri limiti. Non mi stupirei se tra un po’ le togliessero, queste panchine, logorate dal degrado». Unica nota positiva: «Hanno creato aggregazione e animato i social, unendo una comunità di sostenitori affatto lusinghiera, ma comunque compatta».
In ordine sparso Per ’architetto oristanese Andrea Costa, che tempo fa aveva regalato alla città la ricostruzione virtuale della piazza Roma di un secolo fa, nonché esperto in edilizia urbana e paesaggio, la domanda è una sola: «Mi chiedo se sia stata fatta una valutazione della tutela del paesaggio e uno studio di posizionamento, vista la dissonanza estetica delle installazioni negli ambienti. Avrei evitato piazza Roma e via Garibaldi, per esempio, e sono arredi urbani che vanno scelti in maniera coordinata, manca proprio questo secondo me. C’è da lavorare sul coinvolgimento dei tecnici e questa vicenda forse può essere un bene: ora c’è il piano dei dehors da costruire, si potrebbe imparare da questo tentativo non pienamente riuscito per creare un tavolo di confronto».
Un pessimo esempio Una posizione condivisa con l’architetta Maura Falchi, oristanese molto nota in città per il suo approccio di recupero dell’edilizia storica, nelle forme e nei materiali: «È una tempesta perfetta. Ci sono diversi fattori che hanno complicato un’idea nata con intenzioni lodevoli, ma che oggi inevitabilmente fa discutere». Richiama soprattutto la lunga distanza temporale tra la progettazione e l’attuazione: «Nel frattempo la città è cambiata. Molti luoghi scelti allora oggi non risultano più adatti. Queste sedute sono elementi di arredo urbano importanti, non minimalisti, e hanno bisogno di essere contestualizzati con grande attenzione. Se nel frattempo, nello stesso angolo in cui era stata decisa l’ubicazione originaria, è intervenuta un’installazione di ceramiche, per citare uno degli accostamenti che fanno più discutere, i due pezzi per forza si disturbano a vicenda e creano una situazione poco armonica». Il tema, per l’architetta, è innanzitutto quello del linguaggio estetico, che «ha le proprie regole che vanno rispettate, e proprio per questo devono essere conosciute e applicate con sensibilità. Non si possono accostare gli oggetti e gli stili a casaccio. La nostra città merita di essere trattata con rispetto e competenza». E aggiunge un richiamo al valore educativo dello spazio urbano: «Non possiamo permettere che le nuove generazioni crescano circondate da un linguaggio estetico confuso e approssimativo, questo aspetto educativo si trasmette principalmente con l’esempio. Le cose belle, come regola, devono notarsi poco e per quanto riguarda l’arredo urbano, chi percorre la città dovrebbe percepire un contesto gradevole e il benessere che trasmette, e tale risultato si raggiunge solo accostando gli elementi con armonia ed equilibrio. Mi auguro pertanto che in quest’ottica si possano rivedere le installazioni più impattanti per raggiungere un migliore risultato d’insieme».
Identità persa Sul piano concettuale interviene anche il pittore Tonino Mattu, che mette l’accento sul rapporto tra materiali e identità storica: «Oristano non ha un background industriale: usare il metallo per un’installazione urbana è concettualmente fuorviante e produce un effetto estraneo, soprattutto su scorci che meritano rispetto. Pensiamo alla torre di Mariano, oggi oscurata da un monolite che sembra uscito dal film 2001: Odissea nello spazio. È un elemento che spiazza, ma non nel senso buono: decontestualizza e confonde, soprattutto il turista che si porta a casa un’immagine di Oristano inquinata da un elemento estraneo alla sua storia». Poi allarga la riflessione ad altri interventi estetici e artistici in città, ovvero «gli enormi mosaici di taglio folkloristico e industriale, nati da un’iniziativa privata e presenti in vari punti della città, che non esprimono affatto una tradizione di Oristano, oltre a trattarsi di una tecnica artistica nata per i pavimenti e per l’interno, non per le mura esterne. Anche lì, chi visita Oristano, si porta a casa un qualcosa che non le appartiene». Per Mattu la presenza di arte in città è da rivedere: “Un’altra cosa che è finita nell’oblio sono le scritte gialle che dovevano ripercorrere le antiche mura: fatte di un colore illeggibile, andate cancellate perché installate con supporto inidoneo, progetto perso e mai più recuperato che invece andrebbe rivalorizzato proprio perché coerente».
