La Nuova Sardegna

Dall'uranio alle nanoparticelle

Piero Mannironi
Dall'uranio alle nanoparticelle

Dieci anni senza verità ma con il sospetto che non si sia voluta cercare a fondo la causa dei tumori. Il coraggio del sindaco Antonio Pili

21 gennaio 2011
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 SASSARI. Il coraggio non sempre è una virtù che restituisce riconoscenza. Anzi, a volte è una scelta che si paga dolorosamente e può addirittura spingere verso la solitudine. Lo sa bene Antonio Pili, medico galantuomo prestato alla politica, che aprì una breccia nel muro di silenzio.  Eletto sindaco come indipendente in una lista di centrodestra, nel novembre del 2001 denunciò: «Nella frazione di Quirra la gente muore di leucemia e linfoma in una percentuale spaventosa. C'è qualcosa, laggiù, che sta uccidendo uomini, donne e bambini». Non un approccio ideologico o un attacco politico, ma la semplice, oggettiva, constatazione di numeri che raccontavano una tragedia nascosta: 15 morti su 150 abitanti (poi negli anni le vittime sono aumentate). Fu allora inevitabile mettere in relazione l'escalation di tumori nel Sarrabus con quella dei militari italiani in missione nell'ex Jugoslavia. Così, dopo la sindrome dei Balcani, nacque la sindrome di Quirra. E fu inevitabile pensare che le patologie avessero una radice comune, legata alle attività militari: da una parte un teatro di guerra, dall'altra il poligono più grande d'Europa.  Il primo imputato fu l'uranio impoverito, utilizzato per proiettili ad alta penetrazione con effetti devastanti. Insomma, un'arma micidiale, ma anche pericolosissima per i possibili effetti collaterali. Come, per esempio, neoplasie del sistema emolinfatico per chi inala le polveri di uranio o viene a contatto con le nanoparticelle prodotte dai proiettili. Oggi, dopo 10 lunghissimi anni, la sindrome di Quirra continua a uccidere senza che si sia riusciti a capirne l'origine. E dopo 10 anni è legittimo cominciare a sospettare che non si è mai voluto indagare davvero. Come interpretare, infatti, la "bufala" dell'arsenico che monopolizzò l'attenzione per almeno due anni, nonostante venisse smentita da autorevoli studiosi? E come interpretare il fatto che finora non è stata effettuata una vera indagine epidemiologica? Per finire poi con il Comitato territoriale d'indirizzo, nato dopo le indagini della Commissione parlamentare d'inchiesta, e che in quasi quattro anni non è ancora approdato ad alcun risultato e che sembra destinato a un fallimento annunciato.  Ora, dopo dieci anni, interviene l'Istituto superiore di sanità e una procura della Repubblica cerca di capire se in questa catena di morte possano rilevarsi profili di responsabilità. Anche solo omissiva. Si sta cioé facendo quello che doveva essere fatto subito e che invece non è stato fatto.  Per dire la verità non tutto questo tempo è passato inutilmente. Nel senso che una studiosa, consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta, la dottoressa Antonietta Gatti ha identificato il possibile killer di Quirra: le nanoparticelle di metalli pesanti e di leghe metalliche. Sono state trovate infatti nei tessuti dei malati di Quirra e in quelli dei soldati tornati con linfomi e leucemie dai Balcani. Non basta: sono state trovate anche nei tessuti degli animali nati deformi nell'area del poligono. Un punto di partenza importante. Il passo successivo naturale dovrebbe essere quello di scoprire come si sono create le nanoparticelle.  Sbaglia oggi chi pensa che Antonio Pili sia stato sconfitto. È vero, non è più sindaco di Villaputzu e non è riuscito ad avere le risposte che cercava. Ma ha seminato il dubbio e ha fatto nascere nella gente la consapevolezza di quanto sta accadendo, facendo sentire il peso di un rischio incombente. E così oggi nessuno può dire di non sapere.  

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