La Nuova Sardegna

E al ritorno conquistarono le terre abbandonate

<b>Il ritorno. </b>Emigrati sardi arrivano alla stazione di Cagliari negli anni Cinquanta A destra, minatori sardi in Tunisia all&#146;inizio del secolo scorso
Il ritorno. Emigrati sardi arrivano alla stazione di Cagliari negli anni Cinquanta A destra, minatori sardi in Tunisia all’inizio del secolo scorso

Nei paesi intorno a Castiadas ridiedero vita alle aziende Etfas nate dalla riforma agraria

22 aprile 2011
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 CAGLIARI. Viaggio d'andata carico di speranze, mesto viaggio di ritorno - mezzo secolo dopo - impregnato di amarezza e sicuramente anche risentimento. Storia travagliata degli italo-tunisini, che qualche generazione dopo essere approdati nel Paese del nord Africa tra il 1959 e il 1964 dovettero ripercorrere a ritroso il percorso, stavolta non per scelta bensì per essere stati sostanzialmente espulsi dalla Tunisia dal neo presidente golpista Burghiba, con le sue leggi sulla manodopera europea e sulla nazionalizzazione delle terre agricole. Leggi che colpirono in maniera molto dura soprattutto gli italiani, che diventarono così migranti al contrario, una parte dei quali a metà degli anni Sessanta arrivarono un po' alla spicciolata in quelle che allora erano lande semidesolate attorno a Castiadas.  E lì, in quell'ultima propagine del Sarrabus, i "tunisini" - come vennero subito identificati - trovarono subito da fare: lavorando sodo riuscirono a rimettere in piedi un bel po' di aziende agricole che l'Etfas (Ente di trasformazione fondiaria e agraria della Sardegna, nato nel 1951 per volere dell'allora ministro dell'Agricoltura, Antonio Segni) aveva di fatto abbandonato. Così, via via, cominciarono a cambiare volto luoghi come Camisa, San Pietro e Olia Speciosa, che stavano lentamente trasformandosi in borgate-fantasma. Borgate che oggi fanno parte integrante del "giovane" Comune di Castiadas.  C'è tuttavia una curiosità: contrariamente a quanto accadde durante la grande migrazione italiana verso il nord Africa, tra i "tunisini di Castiadas" non c'erano sardi tornati in patria. O quantomeno non si hanno notizie certe in proposito. Ciò nonostante questi migranti di ritorno non tardarono a integrarsi in terra di Crabonaxia (come veniva indicata quella parte di Sarrabus che da Villasimius sale verso Castiadas e San Priamo), grazie anche alle genti del luogo che li accolsero senza alcun problema, facendoli sentire a casa.  Saltando a pie' pari l'aspetto economico-imprenditoriale (buona parte di quelle aziende ex Etfas sono state trasformate in accoglienti agriturismo), il risultato pratico non tardò a manifestarsi dal punto di vista anagrafico, perché ai tradizionali cognomi della zona si aggiunsero quelli decisamente meno autoctoni, come Bosco, Ciaccio, Cesarò, Garofolo, Internicola, Magro o Paesano, giusto per citare i più noti. Certo, contrariamente ai genitori arrivati nel Sarrabus negli anni Sessanta, oggi i figli sembrano quasi ignorare il francese un po' spurio dell'epoca e oltre all'italiano parlano disinvoltamente il dialetto crabonaxiaiu, a conferma che ormai di tunisino conservano solo la nomea. (pmc).

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