La Nuova Sardegna

Imprenditore di Thiesi vince una causa da 800mila euro contro la Bnl

Elena Laudante
Imprenditore di Thiesi vince una causa da 800mila euro contro la Bnl

Il tribunale civile di Sassari condanna la Bnl a restituire a Paolo Mannoni gli interessi versati per oltre 25 anni. E ieri l'ufficiale giudiziario ha bussato alla porta dell'istituto di credito

16 settembre 2011
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THIESI. «Sono stato fortunato, in fondo. Gli altri non lo fanno perché pensano: tanto alla fine perderò». È la leggerezza che colpisce, di Paolo Mannoni, 60 anni, imprenditore caseario di Thiesi e reduce dalla battaglia contro i Ciclopi dei nostri tempi. Ha fatto causa alle banche per rivendicare il diritto a non essere stritolato dagli interessi su conti correnti e dalle commissioni. E ce l'ha fatta. L'ultima volta, contro la Bnl-Paribas, colosso francese.

Solo la cifra accordata dal Tribunale può dare la misura della vittoria: 819mila euro, più 20mila di spese, che l'istituto gli ha dovuto restituire. E lo ha dovuto fare, su pignoramento, nonostante l'imperativo del giudice di Sassari Cinzia Caleffi, che il 5 luglio ha messo nero su bianco la sua decisione: la condanna di quello che in gergo tecnico si chiama «anatocismo», quel calcolo degli interessi che ha un effetto quasi moltiplicatore del tasso iniziale. Si diceva che la restituzione del maltolto (tale almeno fino a diverso esito in Appello) è avvenuta con una certa difficoltà. Ieri mattina è dovuto intervenire l'ufficiale giudiziario (vedi foto in alto), e poi addirittura un cancelliere del tribunale, perché si agevolasse il passaggio di denaro dal caveau della filiale di piazza d'Italia al legittimo proprietario, Mannoni appunto.

In totale, poco meno di 1 milione e 200mila euro, tra gli 819mila della sentenza, i 20mila di spese e i circa 300mila di un conto corrente che l'imprenditore aveva lì, congelato dopo l'avvio della causa nel 2008. Per dirla in soldoni, oltre 2.000 biglietti da 500 euro erano pronti pronti per essere ritirati. Ma l'imprenditore non ha potuto portarli con sé. È stato necessario - su richiesta della banca - aprire un libretto cointestato alla cancelliera e all'imprenditore, in modo che sia poi il giudice ad emettere un nuovo provvedimento, un'ulteriore passaggio dopo l'ingiunzione. Ma la gran parte della partita, ormai, è stata giocata, almeno fino ad eventuale ribaltamento in secondo grado.Interpellata attraverso il suo legale, la banca non ha voluto fornire la propria versione della vicenda. Ma non è l'unico istituto contro il quale Mannoni ha deciso di opporre resistenza.La prima vittoria risale al dicembre 2009, verdetto sempre del tribunale civile di Sassari, giudice Paolo Bruno, che bastona Banca Intesa per tre conti correnti. Mannoni era certo che l'istituto avesse applicato illegittimamente interessi determinati «mediante il riferimento ai cosiddetti usi su piazza». La locuzione "usi su piazza" vuol dire, sostanzialmente, che i tassi di interesse non vengono stabiliti all'inizio del contratto (quello per l'apertura del conto corrente), ma in un secondo momento dalla banca. Generando in parte quel groviglio di calcoli e percentuali che a qualsiasi cliente medio senza laurea in Economia, fa venire il mal di testa. Ecco, al centro del braccio di ferro tra Mannoni e Banca Intesa c'era proprio il meccanismo della "capitalizzazione degli interessi", che consente alle banche di applicare i tassi sul capitale aumentato già di interessi. Anzi, lui è vittima - secondo il consulente - di un "doppio anatocismo", ovviamente illegittimo se non concordato tra le parti. In quel caso, è sempre il calcolo del consulente, sui conti aperti nel 1976 e fino al 2004, l'imprenditore aveva pagato 495mila euro in più, e la banca è condannata a restituirli, almeno fino ad Appello. La terza battaglia sfiora il paradosso. Perché parte da un decreto ingiuntivo che l'allora Banca di Roma (ora UniCredit) aveva ottenuto contro l'imprenditore di Thiesi.

«Mi avevano sequestrato tutto», racconta sgranando gli occhi, quasi a non volerci credere. In questo caso, aveva firmato una fideiussione in favore della sua ditta, Fratelli Mannoni, titolare del conto e di un contratto di anticipo fatture, da quasi trent'anni. Ma tra interessi, spese e calcoli su fatture da stornare, la banca aveva ottenuto un'ingiunzione da 351mila euro, perché nello scontro sui criteri da applicare, il cliente aveva praticamente smesso di pagare.

Di lì l'ingiunzione. Poi rovesciata, con verdetto dell'8 aprime 2001. In alcuni casi «le passività del conto corrente - scrive il giudice Giovanni Maria Mossa - sono computate secondo clausole nulle». Per poi arrivare alla conclusione che «il decreto deve essere revocato e l'opposta (la banca, ndr) sarà tenuta al pagamento in favore del debitore principale, della somma di euro 66.477». Quest'ultima storia passa anche sotto la lente della procura. Iscritti nel registro degli indagati per l'ipotesi di usura sono Ezio Poltronieri, di Genova, all'epoca direttore della filiale sassarese della Banca di Roma, l'allora direttore di zona Gigi Lasio, di Serramanna, i funzionari Massimiliano Farina, di Cagliari, Francesco Zara e Ilde Fadda, sassaresi. Il 12 ottobre il gip Maria Teresa Lupinu nominerà un perito per stabilire se gli interessi pagati dalla ditta Mannoni sono equiparabili a usura.

Dall'ufficio della sua azienda a Thiesi, 5000 metri quadri, 30 dipendenti, tre enormi celle di forme di pecorino destinate anche a New York, Mannoni non sembra proprio gioire. «Di certo i soldi della Bnl non li vado a spendere, servono per coprire altre esposizioni», chiarisce a scanso di equivoci. Anche perché battaglie del genere costano, e molto. «Ogni volta che facevo causa - racconta seduto alla scrivania - la banca in questione mi segnalava alla centrale rischi come cattivo pagatore. Per un imprenditore è una cosa grave. Da quando ho iniziato a fare causa alle banche nel 2004, dopo una sentenza della Cassazione, il giro d'affari della mia azienda è passato da 25 a 7 milioni di euro l'anno. E addio credito».

Nessun istituto ha più concesso nuovi fidi, oltre a quelli che c'erano già. «Ma avevo deciso di andare avanti e l'ho fatto, perché sono testardo e perché me lo potevo permettere. Avrò speso 100mila euro. Ma tante persone no, tanti imprenditori non hanno queste forze. Pensano di non farcela e finisce come sappiamo».

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