La Nuova Sardegna

La Brigata Sassari oltre quel ponte prima della deflagrazione

Sergio Tazzer

21 ottobre 2011
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L'anno della prima guerra mondiale che va dall'ottobre 1917 al novembre 1918, ossia da Caporetto a Vittorio Veneto, è quasi sconosciuto. Battaglie d'arresto, offensiva finale ed in mezzo lutti, privazioni, eroismi, meschinità, retorica. Ebbene: di tutto questo, poco risulta noto. Eppure dai monti al Piave, al mare Adriatico, per un anno si affrontarono e si batterono milioni di uomini, mentre centinaia di migliaia di persone pativano fame, privazioni, angherie. Il fascismo, a guerra finita, si impadronì del tema, cancellando i lati sgradevoli per privilegiare l'aspetto nazionalista legato alla vittoria finale. Caduto il fascismo, una coltre di oblio si è posata su quelle norme campo di battaglia che sono stati i territori a cavallo del fiume Piave ed il massiccio del Grappa, con il Monte Tomba ed il Monfenera. Ho quindi scelto di procedere a memorie: da quelle alte di letterati a quelle di gente comune, che magari aveva problemi irrisolti con la grammatica e con l'ortografia. (dalla Premessa a «Piave e dintorni» 1917-1918) Per gentile concessione dell'editore Kellerman, pubblichiamo un brano da «Piave e dintorni» (399 pagine 22,50 euro) di Sergio Tazzer, giornalista, già direttore della sede Rai del Veneto, Il libro sarà presentato dall'autore oggi ad Arborea nel teatro dei Salesiani alle 19. Il 6 novembre i genieri fecero saltare in aria tutti i ponti sul Piave. Quello di Vidor rimase in piedi ancora per poche ore. Sprezzante del ridicolo, il generale Graziani il 7 novembre fece pubblicare il bando di sgombero della popolazione del territorio della Sinistra Piave.  L'ultimo reparto a passare il fiume a Ponte della Priula fu un battaglione del 152º reggimento della brigata Sassari, inquadrato per quattro, fucile a bilanc'arm ed al passo, comandato da un piccolo ufficiale di Thiesi, un paese del Meilogu in provincia di Sassari, il capitano Giuseppe Musinu, futuro generale di corpo d'armata.  «Gli austriaci - ricordò il generale Musinu - cercarono di fermarci in ogni modo, ma non osavano attaccare frontalmente e allora mandavano pattuglie a disturbare la nostra marcia. Il battaglione procedeva in perfetto ordine, rispondevamo al fuoco con le nostre pattuglie che ci proteggevano i fianchi e ci precedevano. Io stesso sparavo con il mio 91. Mi dissero che stavano per far saltare il ponte: temevano che gli austriaci riuscissero a passare il Piave. Mandai avanti un sottufficiale per dire di aspettare. Arrivammo appena in tempo. Io ero in retroguardia, per proteggere la ritirata. Quando l'ultimo dei nostri fu dall'altra parte del Piave, passammo anche noi. E il ponte fu fatto saltare».  In effetti un colonnello del genio stava per dare l'ordine di far brillare le cariche che avrebbero distrutto il manufatto, quando uno squillo di tromba avvertì che stava giungendo un reparto, inquadrato perfettamente e comandato da un piccolo e impettito ufficiale: era Musinu, che fu anche fra i primi, l'anno successivo, a far balzare i suoi uomini dalle trincee per ripassare il fiume Piave.  La vicenda del passaggio del ponte del battaglione di Musinu fu raccontata dal comandante della compagnia d'assalto della Sassari, capitano Leonardo Motzo: «Passa mezzogiorno, passa l'una e ancora il battaglione non si vede. Finalmente, lontano, avanza una colonna. Sono i nostri! Sotto il fuoco nemico la colonna ondeggia, esita, si scompone. Finalmente imbocca il ponte: sottogola abbassato, passo cadenzato. Il comandante è in testa. Arrivato all'altezza del gruppo dei generali grida: Attenti a destra! Il battaglione rende gli onori».  «Forza paris!», avanti insieme, fu - ed è ancora - la parola d'ordine dei sassarini, quelli delle mostrine bianche e rosse, il cui inno termina proprio così: «Sa fide nostra no la pagat dinari/ ajò! dimonios!/ avanti forza paris!», la nostra fedeltà/ non la si può comprare/ andiamo! diavoli!/ avanti, forza insieme!  Giuseppe Musinu fu, con Emilio Lussu, uno degli ufficiali più amati dai fanti della Sassari, composta interamente da sardi; ferito cinque volte, fu protagonista in decine di azioni che gli crearono la fama dell'eroe.  Assieme ai suoi sassarini partecipava ai colpi di mano con «sa guspinesa», un coltello affilatissimo, e con il «fogu aintru», con il tizzone dentro la bocca: così tenevano il sigaro, per non essere individuati nel buio della notte e poter dare fuoco alle micce degli esplosivi, cortissime, in modo da sorprendere il nemico.  Le sentinelle nei settori affidati alla Sassari avevano l'ordine di sparare contro chiunque, al «chi va là?», non rispondesse in sardo: fra gli imperial-regi non erano pochi quelli che parlavano italiano. E così i sassarini si cautelavano: «Se sese italianu, faedda in sardu!», se sei italiano, parla in sardo.  Le promozioni di Musinu furono guadagnate sul campo: a 26 anni era il più giovane maggiore dell'esercito. Morì nel 1992 alla bella età di 101 anni. © Kellermann Editore 2011
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