La Nuova Sardegna

L’archeologo esperto dei Punici Piero Bartoloni critica le scelte compiute per il parco di Tuvixeddu

«Quelle fioriere, a cosa servono?»

Mauro Lissia
Le tombe di Tuvixeddu e, a destra, Piero Bartoloni
Le tombe di Tuvixeddu e, a destra, Piero Bartoloni

Durissimo il giudizio sullo stato del colle: «Da mettersi le mani nei capelli»

22 marzo 2012
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 CAGLIARI. «Lo stato attuale di Tuvixeddu? C'è da mettersi le mani nei capelli»: il giudizio non è dei soliti ecologisti accusati di voler fermare lo sviluppo, a parlare è Piero Bartoloni, archeologo di fama internazionale e massimo esperto del periodo Punico, conosciutissimo nel Sulcis per i risultati fondamentali delle sue campagne di ricerca. Non è lui che ha scavato la necropoli cagliaritana, ma ne conosce forse più di chiunque altro il valore storico e culturale.  - Professore, i lavori sono in corso. L'amministrazione Zedda è impegnata a realizzare il parco progettato per l'area archeologica dall'amministrazione che l'ha preceduta. Che impressione ha avuto di questo sito delicatissimo trasformato in un cantiere, coi bulldozer e i muri di pietre?  «Ho sorvolato il colle a bordo di un elicottero almeno quattro volte e ho visto bene. Dall'alto si vede una collinetta circondata da palazzi. Poi quei manufatti... Terribile, da mettersi le mani nei capelli».  - Italia Nostra contesta il progetto del parco, sostiene che il sito verrà stravolto dai riporti di terra, dalle fioriere e dalle altre struttire inutili e dannose previsti nel progetto e in buona parte realizzate. Neppure un processo penale è bastato a salvare Tuvixeddu da questo scempio.  «Tuvixeddu va visto come un tutt'uno, non come una tomba dopo l'altra. Non sono buchi nella terra, parliamo di un paesaggio archeologico di inestimabile valore. Sì, confermo: direi che quanto è stato realizzato finora è un pugno in un occhio. Queste fioriere, questi gradoni... a che servono?».  - Lei conosce alla perfezione i parchi archeologici di Montessu e di Sirai, parliamo sempre di necropoli fenicio-puniche. Quei siti sono stati rispettati, non è stato costruito nulla. Perchè queste strutture così invasive su Tuvixeddu?  «Io sono un tecnico, rispetto la politica e i politici che fanno le scelte. Ma sono mondi lontanissimi da me. Faccio l'archeologo e come archeologo dico che non bisogna snaturare la storia ed è indispensabile conservare i beni culturali, che sono anche fonte di turismo. Oggi Tuvixeddu non è un bel paesaggio e so che sono sparite alcune tombe, ho potuto vederlo coi miei occhi. Capisco il progresso ma questi beni devono essere tutelati e conservati così come sono».  - E' una critica rivolta alla Sovrintendenza?  «Assolutamente. La Sovrintendenza lavora eroicamente, la collega Donatella Salvi ha fatto un lavoro di altissimo livello e si è impegnata al massimo nella conservazione del sito. Forse le norme di tutela non sono sufficienti. Non ce l'ho con chi costruisce, se lo fa all'interno della legalità. Ognuno fa il suo mestiere ma io come archeologo non posso chiudere gli occhi davanti a quello che vedo».  - Secondo lei nell'area di Tuvixeddu sarebbe possibile scavare ancora, magari utilizzando nuove tecnologie di ricerca non invasive?  «Perchè privarci di questa possibilità? Capita che in una tomba inesplorata si trovino corredi funebri con pezzi unici. Io sarei per uno scavo tradizionale, la Salvi ha lavorato bene ma non è detto che la ricerca sia stata completa. Non penso neppure che sia bene esplorare tutto, è giusto lasciare qualcosa a chi verrà dopo di noi, perché magari avrà a disposizione strumenti più efficaci e potrà raggiungere risultati ancora migliori».  - Che cosa si augura, come archeologo e studioso dei Punici, per il futuro di Tuvixeddu?  «Mi auguro che venga conservato il più possibile, è un patrimonio di valore immenso».  - E al sindaco Zedda, che ha ereditato il problema di Tuvixeddu e del parco archeologico pubblico, che cosa si sente di consigliare?  «Ho conosciuto il sindaco Zedda di recente e mi sembra una persona capace, una brava persona. Gli consiglio di toccare il meno possibile, perché quando non si tocca non si fanno danni».
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