L’Accademia di Sassari e vent’anni felici
Le testimonianze di Sisinnio Usai, Federico Soro e Salvatore Ligios, docenti di pittura, scultura e fotografia
SASSARI. Arte e identità: l'occasione è un incontro con gli allievi su questo tema, in un'assemblea studentesca allargata e preceduta da una documentatissima relazione di Sonia Borsato sull'arte dei giorni nostri, spesso scomoda per il potere. Al di là di questo, però, merita di essere raccontato il clima che si respira in un ateneo atipico: un sentore di amicizia, solidarietà figlia di valori condivisi. Siamo all'Accademia di Belle Arti "Mario Sironi" in via Duca degli Abruzzi. Qui dall'inizio degli anni Novanta - vàssene il tempo e l'uom non se n'avvede, in un baleno è volato via un ventennio - il pittore Sisinnio Usai insegna anatomia. «Artistica, s'intende – premette –. Certo scheletro, muscoli, espressioni del viso, ma non soltanto. Mi sono sottoposto a una trafila di dieci anni, prima attraverso il concorso per titoli a Brera e poi gli esami a Bologna. Sono di ruolo dal 2001. Ho fatto supplenze a Roma: una bella esperienza, la rifarei».
Oggi i professori dell'Accademia di Belle Arti dedicata a Sironi sono 39 e arrivano da tutta Italia. «La responsabilità è affidata al professor Antonio Bisaccia, eletto dai professori, un'ottima guida – dice Sisinnio Usai –. Io sono direttore del dipartimento arti visive. Con l'anatomia ho due altre discipline: illustrazione ed elementi di morfologia e dinamiche della forma. Ho la fortuna di avere per amici e colleghi studenti di vent'anni fa come Federico Soro che oggi insegna scultura. Molti degli studenti fanno cose importanti. L'anno scorso ne abbiamo premiato 22 con la mostra collaterale alla Biennale di Venezia». Si intuisce un solidarismo fondato su valori comuni di lavoro e di vita. Sisinnio Usai si apre alla confidenza. Dal suo racconto traspare il piacere della ricerca e della creatività. «Il mio studio e la mia vita li porto avanti come sempre – rivela –. Le cose che ti racconto le trasferisco negli studenti: ciò che sono nel privato sono nella scuola. Non c'è scissione, si tratta di un unicum». Come ha vissuto i suoi ultimi vent'anni, come li sente oggi? Risposta: «Per me sono stati ottimi. Ora mi sento come se avessi preso il diploma all'Accademia, un'esperienza formativa forte. Sto ancora imparando e spero di restare in questa dimensione mentale». L'artista spalanca una finestrella sul tempo che si annuncia per lui in questo cenacolo singolare. Come in un dialogo con sé stesso: «Mi restano altri cinque anni di lavoro. Vorrei vedere l'Accademia ben sistemata», si augura. Tradotto in progetto, ecco cos'è: «Mi piacerebbe istituire una collezione con gli elaborati degli studenti, perché rimanga una testimonianza del loro passaggio. Non è facile, non decido da solo: la decisione spetta al Consiglio accademico». Da come gli brillano gli occhi, non sarà difficile strappare un assenso all'idea. Federico Soro non ama i discorsi lunghi, se potesse non direbbe alcunché. Ecco il suo stato d'animo: «È come se viaggiassi su due binari: uno personale, l'altro riferito all'istituzione. L'Accademia mi ha fatto amare l'arte che ora è diventata una nuvola e mi sta sempre dietro, è la mia vita stessa. L'amicizia con Sisinnio mi ha aiutato enormemente, per me lui è come un fratello maggiore. Provo molta gratitudine anche nei confronti del professor Bisaccia». Tre sono le parole che Federico non vorrebbe più sentire. «La prima è orfano, la seconda disoccupazione, la terza cancro. Come uomo mi rattristano il dolore dell'orfanità, la mancanza di lavoro, le malattie ancora senza rimedio». I suoi orari non sono segnati dalla burocrazia: «Vengo volentieri e faccio ore di volontariato, è come se il tempo non mi bastasse mai. I ragazzi sono splendidi, spero che la vita apra loro molte porte».
Salvatore Ligios insegna fotografia. Cultore del silenzio, il grande fotografo di Villanova Monteleone di origine bittese (dae su nono non si tinghet papiru, se uno non parla non possono fargli alcun verbale) si sottrarrebbe volentieri al fastidio di rispondere alle domande. «La ritengo una grande opportunità per diffondere il verbo fotografico. Le lezioni sono molto seguite. La materia si presta. Le sfaccettature sono parecchie e attraggono: c'è il veloce ed il lento, una sintesi perfetta della società contemporanea».