La Nuova Sardegna

Traffico di schiave, il cuore era a Sassari

di Nadia Cossu
Traffico di schiave, il cuore era a Sassari

Viveva in città la nigeriana che gestiva le giovani africane vendute dalle famiglie. Mercato stroncato dai carabinieri

12 luglio 2012
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SASSARI. Una ragazza di 17 anni aveva più o meno lo stesso valore di due iPhone. Donne giovanissime vendute dalle loro famiglie, molto povere, per 1500 o 2000 euro – quando andava bene – a un’organizzazione criminale che operava in tutta Italia e nel Nord Sardegna, tra Sassari e Olbia.

Così i sogni di un’adolescente in poco tempo si trasformavano nel peggiore degli incubi: diciassettenni ma anche ventenni e trentenni costrette a prostituirsi, “affidate” alle madame meretrici che le tenevano sotto controllo con la minaccia di utilizzare riti magici e pozioni qualora avessero disobbedito provando ad allontanarsi dalla strada. E, come se non bastasse, date in spose a mariti consenzienti – rigorosamente italiani – al prezzo di circa settemila euro per ottenere la cittadinanza. Un triste matrimonio “a tempo” suggellato grazie a un traffico di documenti falsi .

Sono solo alcuni dettagli dell’importante operazione conclusa nei giorni scorsi dai carabinieri del nucleo investigativo di Sassari in collaborazione con i colleghi di Olbia, Roma, Genova, Treviso, Prato, Arezzo, Caserta e Parma e con l’Interpol. Diciassette le persone arrestate (15 nigeriani e due italiani) con le pesanti accuse di associazione per delinquere finalizzata al traffico di esseri umani, riduzione e mantenimento in schiavitù, tratta di persone, reati in materia di prostituzione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’attività investigativa – illustrata ieri mattina dal comandante provinciale dei carabinieri di Sassari, il colonnello Francesco Atzeni, e dal maggiore Giuseppe Urpi – è stata chiamata “Terra promessa 2” proprio perché si tratta della seconda fase di un’indagine cominciata nel 2006 – sotto il coordinamento della Dda di Cagliari e in particolare del pm Paolo De Angelis – in seguito alla denuncia di una donna nigeriana che, arrivata clandestinamente a Olbia con la promessa di un lavoro regolare, era stata invece costretta a prostituirsi. Lei però aveva avuto la forza e il coraggio di ribellarsi ai ricatti. Rivoleva la libertà e per questo si era rivolta ai militari. Da quel momento erano partite tutta una serie di attività tecniche e servizi di osservazione e controllo che avevano permesso ai carabinieri di scoprire un’associazione attiva in tutto il Nord Sardegna e finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Dopo due anni, nel 2008, si era arrivati all’arresto di sedici nigeriani che attualmente sono sotto processo per reati molto gravi davanti alla corte d’assise di Sassari.

L’indagine negli anni è andata avanti fino a individuare l’organizzazione internazionale che aveva il compito di far arrivare clandestinamente in Europa uomini e donne da avviare poi al lavoro nero e alla prostituzione. Si occupavano di tutto, come ha spiegato il colonnello Atzeni: «Il reclutamento in patria, la fornitura di documenti falsi, il trasferimento in auto verso le coste nordafricane e il successivo traghettamento in quelle europee». Viaggi che duravano a volte anche quindici o venti giorni. «Alcuni, quelli che potevano permetterselo, viaggiavano in aereo facendo tappa in Paesi dell’est europeo prima di entrare nell’area Schengen».

A novembre del 2008, durante una di queste terribili traversate nel Mediterraneo, un’imbarcazione era naufragata al largo di Malta ed erano morte due ragazze poco più che diciottenni partite dalle coste della Libia.

Ciascun componente dell’organizzazione criminale aveva un ruolo preciso. In particolare Helen Nkiru Maduka, 44 anni, che al momento viveva a Sassari, era considerata uno dei punti di forza dell’associazione. Era lei infatti, secondo gli investigatori, a gestire insieme a Kevin Odeh, 49 anni, residente in Germania, tutte le fasi principali dell’attività di sfruttamento: dal reclutamento al trasporto, fino alla sistemazione logistica in appartamenti dove le donne erano costrette, in alcuni casi, a vivere ammassate. «I proprietari delle case – hanno spiegato ieri i militari – erano assolutamente in regola». Ignari del fatto che gli inquilini subaffittassero un appartamento anche a venti persone tutte insieme. Facile dunque immaginare in quali condizioni igienico sanitarie vivessero queste povere donne. Gli unici due italiani del “gruppo”, invece, si occupavano prevalentemente di organizzare i matrimoni fasulli.

L’operazione dei carabinieri non è ancora conclusa, nei prossimi giorni infatti si chiuderà il cerchio con l’arresto di un altro componente dell’organizzazione che al momento si trova in Svizzera.

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