La Nuova Sardegna

Made in Orosei: il marmo che ha conquistato la Cina

di Paolo Merlini

Con le sue 22 aziende il distretto dà lavoro a cinquecento addetti più l’indotto ed esporta in tutto il mondo, dalla Russia al Medio Oriente

07 ottobre 2012
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INVIATO A OROSEI. Un giorno come un altro al ristorante Su Barchile, all'ora di pranzo. A un tavolo siedono un imprenditore cinese con interprete al seguito, a pochi metri un gruppo "misto", con industriali sardi e laziali, più due ospiti provenienti dal Medio Oriente, forse dalla Giordania. Alla titolare del locale che raccoglie l'ordinazione gli italiani spiegano che, per rispetto delle consuetudini religiose dei colleghi stranieri, mangeranno solo determinate pietanze, mentre poco più in là il cinese si cimenta con i "macarones de busa" ai frutti di mare, specialità della casa. Si parla un po' di tutto, ma il discorso cade sul motivo che lega tra loro queste persone: il marmo di Orosei. Uno degli ospiti stranieri, un habitué della zona, nel suo italiano stentato dice che bisogna puntare di più sulla qualità. «Negli Stati Uniti lo fanno da tempo in agricoltura: quando la produzione è troppo abbondante ne buttano metà nell'oceano. Così il mercato non si inflaziona», dice a mo' di battuta, ma neppure tanto. Il cronista che assiste alla conversazione immagina l'onda anomala che produrrebbe un blocco di pietra da quasi 300 quintali nelle acque cristalline del Golfo di Orosei e pensa che sia meglio valutare altre strategie di mercato.

Cinquecento addetti. Scene ordinarie di globalizzazione a Orosei, cuore di uno dei quattro distretti industriali della Sardegna, quello che parla più di tutti un linguaggio internazionale e tesse rapporti con le potenze economiche mondiali. Vengono da Cina e India, Emirati Arabi e Russia, da un po' anche da Brasile e Stati Uniti per comprare il marmo di Orosei, pietra pregiata vecchia di milioni di anni; rimasta per secoli nascosta sotto la macchia mediterranea, è diventata l'oro di Orosei, cacofonia inevitabile, da oltre trent'anni a questa parte, fonte di ricchezza per i pionieri più fortunati e di lavoro sicuro per 500 persone (i dipendenti delle 22 aziende, ai quali va sommato l'indotto: circa 300 addetti). In questo periodo di magra industriale, è un dato controtendenza, soprattutto in Sardegna. La maggioranza dei lavoratori è di Orosei, che conta settemila abitanti, e dei paesi immediatamente vicini.

I pionieri. Si chiamavano Davoli, Scancella, Ratti, Trois, Gallus. Alcuni di loro erano cavatori in prima persona, avevano nelle mani i segni di una delle attività più dure che l'uomo abbia mai inventato, l'estrazione della pietra. I loro figli erano già imprenditori in grisaglia, industriali autodidatti, mentre i nipoti sono manager formati alla Bocconi, in qualche caso vantano dottorati alla London School of Economics. Tra pochi anni il testimone passerà a loro, e ci sono pochi dubbi sul fatto che ce la faranno. I presupposti perché ciò accada ci sono tutti. Sia sul piano delle conoscenze in un settore dove uno sguardo lucido sul mondo e sui mercati internazionali è ciò che fa la differenza, sia sul piano della materia prima: le cave di Orosei potrebbero fornire marmo per altri due o tre secoli almeno.

Il primo blocco, estratto da un ramo alle pendici del monte Tuttavista oggi abbandonato, data 1956. Da anni la "coltivazione", nome tecnico che può lasciare perplessi, si è spostata lungo l'Orientale Sarda, su un altro versante del grande massiccio calcareo, e ricopre un'area di 280 ettari. Sinora si è scavato sino a 50 metri di profondità, estraendo il sei per cento della potenzialità delle cave, ma si potrebbe continuare sino a 600. Poi c'è l'estrazione in galleria, una tecnica ancora da inaugurare: il futuro, dicono gli esperti.

Il caro trasporti. L'oro di Orosei non si misura al grammo, ma in tonnellate. E qui si può essere precisi anche sui numeri, perché l'unità di misura, visto che parliamo di un settore che esporta l'85 per cento della sua produzione, è il container, cioè il peso massimo trasportabile consentito, oltre che le sue dimensioni: 27,28 tonnellate. Il valore? Dipende dalla qualità del marmo, dal colore, dalla purezza: quello di prima può arrivare a 300 euro, e ovviamente si tende a esportare il meglio, ma difficilmente si scende sotto i 40 euro a tonnellate. Quanto di questo danaro torna indietro a Orosei? Dal porto di Cagliari a quello di Shangai un container costava, sino a pochi mesi fa, circa 600 euro. «Da un giorno all'altro nel maggio scorso è aumentato di 487 euro, arrivando quasi a 1100», dice preoccupato Matteo Carta, presidente del Consorzio Distretto Marmi Orosei, che raggruppa le principali aziende del settore e che vede anche il Comune tra i soci promotori. L'obiettivo dell'ente è far valere le ragioni di un settore che, come spiegano con orgoglio gli industriali di Orosei, ha fatto a meno dell'assistenzialismo pubblico, ma chiede garanzie e agevolazioni regionali e statali per continuare a essere un'eccellenza nel panorama desertico dell'industria sarda. Al primo punto c'è l'energia, nota dolente per chiunque operi nell'isola.

Fame d’energia. Il settore delle cave, per usare un termine tecnico poco felice, è molto "energivoro": impiega circa 12 milioni di kilowatt l'anno, e ciascuno kw costa oggi attorno ai 20 centesimi di euro più Iva(fonte Consorzio Marmi, media annuale). Alle imprese aderenti a Confindustria viene proposta periodicamente, tramite il Consorzio Sinergia Nuoro, quella che dovrebbe essere l'offerta più concorrenziale sul mercato sempre più variegato dell'energia, ma il costo resta altissimo.

C'è poi il problema dei trasporti. Il primo è dato dalla viabilità inadatta, visto che le cave si sviluppano per circa tre chilometri lungo i tornanti della statale 125, l'Orientale Sarda. Da qui i grandi articolati che trasportano i blocchi (in qualche caso direttamente i container) vanno in direzione di Cagliari e Olbia. Entro l'anno la Provincia dovrebbe appaltare i lavori di una bretella stradale a Nord delle cave che eviterebbe il transito nel centro del paese. Un altro progetto prevede di spostare il percorso della 125 verso il mare, destinando così il tratto che attraversa la zona industriale unicamente all’attività delle cave. Tutto ciò ridurrebbe i tempi di trasporto, agevolando l'attività dei camionisti, e soprattutto risolverebbe i problemi e i pericoli legati al traffico, molto intenso d'estate.

Trasporto su gomma. In tempi di crisi, qui arrivano imprese di autotrasporti da tutta l'isola, e Orosei è diventata una piazza molto appetibile. Il perché è molto semplice: in un'isola dove le esportazioni sono vicine allo zero e invece si importa di tutto, varcare il Tirreno con un camion pieno e fare rientro nei porti sardi con il cassone vuoto (dove dunque si può trasportare qualsiasi cosa) è un'occasione ghiotta per molti. A farne le spese sono soprattutto le imprese locali di autotrasporti, un tempo voce importante dell'indotto delle cave, oggi messe alle corde dalla concorrenza proveniente da ogni parte dell'isola. Le tariffe dei traghetti sempre più elevate fanno il resto. Poi c'è il costo del lavoro, con cui in tempi di globalizzazione ogni imprenditore internazionale deve fare i conti. L’ultima nota dolente è rappresentata dagli sfridi, gli scarti della lavorazione. Un problema che il Consorzio cerca di risolvere con il loro riutilizzo, a cominciare dall’uso nelle strade come granulato.

Qualche anno fa la parola d'ordine era "verticalizzare", cioè andare sul mercato con un prodotto finito, dalle lastre per le facciate degli edifici ai pavimenti. La crisi del 2009 ha portato a ridimensionare questo sogno: il settore della lavorazione è andato in crisi, mentre ha retto l'estrazione. Ne sa qualcosa uno degli imprenditori più illuminati, Gianni Buonfigli, che è dovuto ricorrere a corsi di formazione per riconvertire un buon numero di lavoratori da un settore all'altro. Proprio Buonfigli è stato uno dei pionieri dell'ingresso del marmo di Orosei nel mercato internazionale. Nel 1993 ha fatto il suo primo viaggio in Cina, con la valigetta del commesso viaggiatore, come racconta con ironia. Oggi il grosso della sua produzione finisce nel porto di Shangai, il suo gruppo, creato dal suocero Vincenzo Scancella (per tutti il Cavaliere), ha 140 dipendenti, 26 milioni di fatturato, una sede a Verona dove opera uno dei due figli (entrambi bocconiani) che si occupa di marketing.

Il mal di pietra. Chi ha "verticalizzato" purtroppo ha perso la scommessa. È il caso di Giuseppe Sanna, figlio del primo cavatore di Orosei, nipote di scalpellini di Orune. Nel 2005 ha creato la Pai (Pietra artistica internazionale), ha investito 5 milioni in macchinari in grado di scannerizzare in 3D il David di Donatello e riprodurlo in qualsiasi pietra. Ha realizzato centri benessere, piscine lussuose, persino i tappeti in pietra disegnati dallo stilista Antonio Marras per il G8 alla Maddalena sui quali sarebbe dovuto passare Obama. La crisi di commesse lo ha travolto, per lui sono tempi duri. Poi guarda la foto in bianco e nero che ritrae il padre Salvatore con il primo blocco estratto a Orosei, nel 1956, e pensa che comunque la fatica farà sempre parte di questo mestiere, anche al tempo della globalizzazione e dei software tuttofare, e sogna tempi migliori. Lo chiamano “mal di pietra”.

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