La Nuova Sardegna

I veleni della miniera per costruire la 131

di Luciano Onnis
I veleni della miniera per costruire la 131

Le scorie della Sardinia Gold Mining di Furtei utilizzate in un tratto di 11 chilometri tra Sanluri e Sardara: quattro indagati

18 ottobre 2012
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SANLURI. Due anni di accertamenti a 360 gradi, ora arrivano dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Cagliari i primi provvedimenti: ci sono quattro persone indagate per le scorie nocive utilizzate per realizzare undici chilometri e mezzo di statale 131, fra Sanluri e Sardara. Nel sottomanto bitumoso erano finite in corso d’opera oltre 700mila tonnellate di materiale di risulta con alte percentuali di mercurio, arsenico, cadmio e altri metalli pesanti, provenienti dalla miniera d’oro della “Sardinia Gold Mining”, in territorio di Furtei. Per quello che la Procura ha ritenuto, al termine della indagini condotte dal pubblico ministero Marco Cocco, un traffico illecito di rifiuti speciali, sono stati iscritti nel registro degli indagati il presidente dalla SGM, l’australiano di 57 anni Garry Hervyn Johnston, l’imprenditore Antonino Marcis, 53 anni di Macomer, a cui era stata assegnata l’esecuzione dei lavori assegnati in appalto dall’Anas alla società Todini con sede a Roma.

Il massimo dirigente della Sardinia Gold Mining avrebbe venduto il materiale di scarto della produzione aurifera nella miniera di Santu Miali ad Antonino Marcis, al prezzo di 200-300 lire a tonnellata la vicenda risale alla fine degli anni Novanta), mentre il prezzo corrente sul mercato per materiale di risulta era di circa 1.600 lire. Con l’accusa di frode in pubbliche forniture sono indagati – oltre allo stesso Antonino Marcis –, Aldo Serafini, 61 anni di Todi (Perugia) rappresentante legale della “Todini Costruzioni generali Spa”, e il direttore dei lavori Giorgio Carboni, sessantenne di Alghero, tecnico dell’Anas. Quest’ultimo avrebbe rilasciato il certificato di collaudo del tratto di strada oggetto dell’inchiesta, affermando di aver eseguito i test per il controllo della qualità dei materiali usati per realizzare il sottofondo dell’asfalto.

Era davvero bello a vedersi quel nuovo tratto di statale 131 fra Sanluri e Sardara inaugurato in pompa magna il 2 febbario del 2002 dall’allora presidente della Regione Mauro Pili, con il responsabile dell’Anas Sardegna Gavino Corazza a fare gli onori di casa. Undici chilometri e mezzo di manto scuro uniforme - fra il 47,3 e il 58,9 chilometro - ravvivato dalle strisce bianche della segnaletica orizzontale, che significavano un altro tassello per l’ammodernamento e la messa in sicurezza della “Carlo Felice”. Già, proprio di sicurezza si andava parlando in quell’occasione. Peccato però che quel bel vestito nuovo di zecca della “131” nascondesse nell’intimità – come hanno rivelato le analisi svolte dal Noe dei carabinieri e dall’Arpas e, adesso, oggetto di provvedimento dell’autorità giudiziaria – qualcosa come 700mila metri cubi circa di pietrame e terriccio al veleno provenienti dal Klondike sardo della “Sardinia Gold Mining”, società attivata nel 1993 con partecipazione al 70% di due gruppi australiani del settore aurifero (la Gencor e la General Gold) e al 30% dalla Regione Sardegna con la Progemisa.

Quelle scorie impregnate di arsenico, mercurio e altri metalli pesanti come cadmio, rame e selenio, rimasero cinque anni e poco più sotto il vestitino nero bituminoso, poi cominciarono a infiltrarsi e a riversarsi nel terreno non impermeabilizzato ai lati della carreggiata, attaccando anche le strutture dei cavalcavia a causa della presenza di acido solforico e arsenopirite.

Il bubbone è scoppiato nel maggio del 2010 e dopo due anni di indagini dirette dal pm Marco Cocco e svolte dai carabinieri della Compagnia di Sanluri, diretti dal capitano Gianluca Puletti, la Procura ha tratto tirato le somme e iscritto nel registro degli indagati quattro presunti responsabili di undici chilometri di “131” avvelenati.

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