La Nuova Sardegna

«Saper dialogare: la violenza si combatte così»

di Giulia Clarkson
«Saper dialogare: la violenza si combatte così»

Intervista con Nicla Vassallo. «Non c’è nulla da festeggiare»

08 marzo 2013
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Otto marzo, giorno di festa o l'ennesima costruzione per rafforzare le gabbie degli stereotipi? Per Nicla Vassallo, professore ordinario di Filosofia teoretica presso l'Università di Genova, che anche grazie a un importante background anglosassone (è specializzata al King's College di Londra) naviga con rigore ed eleganza nella speculazione filosofica più innovativa, non ci sono dubbi: «Non c'è nulla da festeggiare, perché la condizione femminile in Italia non è libera: siamo all'80° posto nel Global gender gap 2012 ed abbiamo numeri impressionanti sul femminicidio. L'inglese celebra l'International Women's Day, al plurale; l'Italia festeggia una donna sola. Che fattezze ha, questunica? Perché le donne italiane dovrebbero aspirare a un impoverimento della bellezza e della intelligenza di ogni distinta personalità?».

Alcuni sostengono che la donna è legata a un destino di tipo biologico.

«Se attribuiamo il destino biologico alle donne dobbiamo attribuirlo anche agli uomini, perdendo i valori culturali che ci rendono umani. Sarebbe lo stato brado. Nella cultura educata che ci siamo costruiti, abbiamo ridefinito e ragionato su noi stessi in termini culturali e valoriali, non di natura. Molti concetti su affettività, amore, famiglia sono costruzioni recenti nate per spirito di conservazione o per ragioni economiche, non hanno nulla a che vedere con la natura».

Quale è il prezzo di continuare a sostenere certe affermazioni deterministe?

«Applicato alle donne le porta a un pregiudizio: ci dice che la donna deve essere materna, accudente, seducente, debole, dipendente. La donna è costretta a partorire ed allevare figli, non può essere di successo, non può neanche valutare se stessa seriamente sul lavoro, ha poca possibilità di esprimersi nell'agorà».

Che rapporto c'è tra costruzione simbolica del femminile-maschile e lo scatenarsi della violenza di genere?

«Alcuni uomini vivono le donne come femmine. Non come esseri umani. Lo stereotipo svalorizza la donna quale essere umano, la rende potenzialmente passibile di violenza. Molte donne d'altronde sono dentro lo stereotipo, non sanno e non vedono l'escalation di ciò che subiscono fino all'ultimo. La prostituzione e il turismo sessuale sono pure molto preoccupanti. Dalla percentuale di uomini italiani che frequentano prostitute, si capisce cosa pensano delle donne».

In che senso le teorie femministe della conoscenza riguardano anche gli uomini?

«Queste teorie rilevano che a lungo la donna non è stata considerata né soggetto conoscente né oggetto di conoscenza. Sono stati i soggetti conoscenti maschili, i dominanti. Eppure, nella conoscenza non è previsto il dominio conoscitivo. Ciò che garantisce la conoscenza è la trasmissione, la condivisione. La teoria femminista ha rivoluzionato la teoria tradizionale mettendo al centro il soggetto conoscente e riflettendo su chi sia e quanti siano i soggetti conoscenti, al di là del maschile/femminile. Nessuna teoria scientifica seria mostra l'esistenza di rilevanti differenze cognitive tra uomini e donne. Le appartenenze s. essuali non contano, nel conoscere».

Gli stereotipi hanno però molto a che fare con il potere, anche quando si definisce l'oggetto ed i soggetti della conoscenza.

«Certo, tramite la conoscenza si esercita un potere enorme. Se l'educazione di massa è arrivata molto tardi nei Paesi occidentali, è perché meno le masse conoscono meno hanno la possibilità di vagliare fra le diverse scelte. Alle donne l'educazione è stata garantita molto tardi, così come il diritto di voto».

Una donna sola nella politica istituzionale non la modifica ma ne è modificata; se le donne sono tante crede che possano/vogliano apportare modifiche nei modi di gestione del potere?

«Il potere può essere usato in modo positivo e negativo. Sono a favore di donne e uomini in posizione di potere che sano capaci: chi fa politica deve saperla fare. Purtroppo in Italia accade che la competenza conti molto poco. Mi spiace che un certo femminismo creda che le donne debbano stare lontane dal potere: è come se il potere fosse necessariamente brutto e le donne non fossero capaci di gestirlo. Hillary Clinton e altre dimostrano che non è così. Non credo che ci sia un modo di far politica al femminile e al maschile – non ci dovrebbe essere, o ricadiamo in gabbie. Però c'è da augurarsi che il prossimo presidente della Repubblica sia donna; sarebbe un salto in avanti dal punto di vista dell'immagine dell'Italia e dello scardinamento degli stereotipi».

... e che il prossimo Papa fosse donna?

«Perché no? Dal punto di vista della filosofia della religione, non c'è alcun problema né ci dovrebbe essere dal punto di vista teologico. Credo che la chiusura di un certo cattolicesimo nei confronti delle donne sia frutto di meri pregiudizi e di convenienza. Dal punto di vista spirituale, la differenza sessuale, supposto che ci sia, non gioca alcun ruolo: se è l'anima a contare e lo spirito, un Papa donna, in questo momento di grande difficoltà della Chiesa, sarebbe positivo».

Alcune femministe italiane pongono al centro dell'agenda politica la cura e quel che finora è stato relegato alla sfera del privato.

«Scopiazzano un po'. Pensare che l'etica sia solo etica della cura, di cui si parla da anni nella filosofia anglosassone, è un errore. L'etica concerne il bene e il male. Il concetto di cura fa parte dell'etica così come della politica, ma deve avere il limite del rispetto: il prendersi cura deve essere reciproco, o altrimenti c'è qualcuno che approfitta di una situazione di dominio. Sono una sostenitrice dell'interdipendenza. Siamo individui singoli ma interdipendenti dal punto di vista emotivo-affettivo, culturale e conoscitivo».

Nascita e gravidanza: non tutte le donne sono madri né intendono esserlo. Però i pregiudizi sono ancora diffusi

«Il discorso è molto complesso: la maternità non deve esserci a tutti i costi, si è esseri umani anche se non ci si riproduce. Mi spaventa l'inconsapevolezza con cui si diventa padri e madri e a volte si è cattivi padri e cattive madri. Alcuni eventi di cui i dati mostrano numeri impressionanti, quali infanticidi e violenze sui bambini, dovrebbero rimettere in discussione cose che diamo per scontato, come la famiglia. È bello invece che persone consapevoli vivano un lungo periodo della loro vita con l'obiettivo principale di crescere ed educare un figlio/a affinché diventi persona con una vita degna di essere vissuta».

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