La Nuova Sardegna

Concessioni balneari, rischio-caos

La Sardegna è l’unica regione in cui sono ben tre le date di scadenza dei contratti

06 giugno 2013
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CAGLIARI. Gli stabilimenti balneari sono ostaggio delle concessioni. Anzi, non sanno proprio come districarsi nella tempesta di date una diversa dall’altra. Per pochi Comuni, quei contratti andranno in scadenza alla fine di quest’anno, è così a Cagliari e a Villasimius. Una settantina invece ha optato per il 31 dicembre del 2015 senza neanche prendere in considerazione l’ultimo decreto milleproroghe del governo Monti, quello che ha rinviato il countdown al 2020 e solo Tortolì si è adeguato. La confusione è evidente, tanto che la Sardegna è l’unica delle 15 regioni costiere a vivere questo paradosso: ogni municipio fa più o meno come gli pare. Per questo ieri l’Anci Sardegna, con il suo presidenteale Cristiano Erriu, ha convocato e messo a confronto amministratori pubblici e imprenditori. Ebbene, il risultato del faccia a faccia è stato che «così non possiamo certo lavorare, programmare e investire», ha detto Alberto Bertolotti segretario regionale del Sindacato imprenditori balneari. In Sardegna, gli stabilimenti sono poco più di 500, quasi cinquemila le buste paga compresi gli stagionali, il fatturato è buono crisi a parte. Sono questi i numeri del variegato mondo dei servizi in spiaggia o da spiaggia: dai contrastati e ormai demoliti baretti di Cagliari alle dependance fronte mare della Costa Smeralda, e tutti legati a doppio filo con le concessioni demaniali. Concessioni, che le strutture mobili pagano intorno ai 2 mila euro all’anno per 1500 metri quadri, 12 mila se sono fisse. Come ha detto Vincenzo Lardinelli della Federazione imprese balneari, a rendere la gestione complicata è proprio la mancanza di regole certe. La bibbia, in Sardegna, dovrebbe essere il piano di utilizzo dei litorali, il Pul, licenziato mesi fa dalla giunta regionale con un disegno di legge. Ma è un Pul che seppure in fasce, per ora ci sono solo le direttive generali, da subito è finito nella bufera, nonostante dovesse servire, come ha sostenuto l’assessore all’urbanistica Nicola Rassu, «agli enti locali per pianificare e armonizzare lo sviluppo turistico e ricreativo sulle coste». E invece, come hanno denunciatogli operatori balneari, in Sardegna di uniforme c’è poco o nulla. La conferma è arrivata dai sindaci di Siniscola, Rocco Celentano, e Bosa, Piero Casula: «Il piano è stato calato dall’alto e dunque spesso è in contrasto con le nostre esigenze di sviluppo». Rassu il suo disegno di legge l’ha difeso con vigore dopo aver ricordato che «a suo tempo è stato concertato fra la Regione, gli enti locali e le associazioni degli imprenditori». Ma qualcosa deve essere andato storto se da una parte e dall’altra è contestato. Tanto che alla fine l’assessore si è detto pronto a «richiamare tutti intorno a un tavolo per azzerare le zone d’ombra». Una prima delle altre: la scadenza delle concessioni. Tre date diverse sono davvero troppe. (ua)

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