«Gigi Riva, verrai al mio funerale?»
Cagliari, la richiesta di un 70enne malato terminale al bomber che ha detto: «Sì»
CAGLIARI. Uno sente le energie che l’abbandonano, il corpo che si arrende, la fine che si avvicina. E cosa fa? Pensa al mito della propria gioventù, si rivolge al personaggio che l’ha reso orgoglioso di essere sardo anche se solo grazie alle imprese compiute in un campo marginale dell’esistenza, quello del calcio: Gigi Riva, il popolarissimo Rombo di tuono, cui gli anni non sembrano aver intaccato l’immagine di hombre vertical che gli cucì adosso il grande cronista Gianni Mura: «Sto per morire, verrai al mio funerale? Ci tengo molto, verrai?» «Certo, sta certo che verrò».
E’ accaduto l’altra sera ed è stata una giovane giornalista cagliaritana, Virginia Saba, a raccontarlo con poche righe delicate su un social network. Riva era seduto al solito tavolo nel solito ristorante del centro cagliaritano dove cena ogni sera, quasi sempre solo, qualche volta con amici. D’un tratto, appare un uomo di circa 70 anni, il fisico chiaramente provato da una malattia. L’uomo fa il giro del locale con lo sguardo, inquadra il tavolo di Riva e lo punta con decisione. Si avvicina e gli rivolge una domanda gentile, usando un «tu» carico di affetto: «Ti ricordi di me?». Il bomber del Cagliari e della nazionale regge a un attimo di imbarazzo, lo scruta con attenzione e poi annuisce: «Sì, mi ricordo». Forse è vero, forse no. Comunque gli stringe la mano e gli fa cenno di accomodarsi.
Ma lui, quell’uomo saltato fuori dal nulla, sembra avere fretta. Parla del proprio passato, la giovinezza, ricorda di una partita giocata all’Amsicora, la maglia azzurra, il Messico. Riva cerca di ascoltare e di capire: spiega alla Nuova Sardegna il grande mancino rossoblù. Riva capisce tutto quando l’uomo viene al punto, alla ragione che l’ha spinto a cercarlo nella sua «tana» serale: l’incontro non è casuale, lui è andato a trovare Riva perché sente che il momento sta arrivando, è vicino, una questione di giorni.
Spiega: «Ho un tumore, posso andarmene anche domani o tra una settimana, me l’hanno detto… speranze non ce ne sono». Rombo di tuono ascolta, sente un brivido lungo la schiena: «Mi è sembrato strano – racconta Gigi Riva – siamo tutti attaccati alla vita, se riusciamo a muovere solo un dito di una mano speriamo che quello basti per andare avanti. Invece lui diceva di sentire la morte, era come rassegnato al peggio». Rassegnato, amaramente rassegnato al punto da pensare al giorno in cui i parenti e gli amici gli avrebbero reso l’ultimo saluto. E quel giorno voleva che ci fosse Gigi Riva, l’eroe della sua gioventù, quel numero undici ammirato tante volte mentre strapazzava gli avversari, risorto da infortuni tremendi. Riva, insomma, l’unico Riva che valga la pena di ricordare in tempi poco frequentati da signori come lui, nello sport e nella vita. Quasi impietrito, Riva ascolta e fa cenno di sì: «Ci sarò, te lo prometto» risponde a voce bassa, prima di bere un sorso di vino per mandar giù quel momento straziante. L’uomo sorride appena, fa un cenno leggero col capo e se ne va d’improvviso. Quasi uno scatto, forse il solo modo rimasto per nascondere un’emozione incontenibile.
Riva resta seduto al tavolo, abbassa lo sguardo, gli occhi umidi e la bocca che si trasforma in una fessura. Chissà se Gigi saprà del funerale, se potrà davvero esserci. Ma in fondo non è questo che conta: a quell’uomo che sente la morte vicina servivano quelle parole, il conforto di una promessa: Gigi Riva, il grande Gigi Riva al suo funerale. La storia è finita ed è tutta qui. Pochi minuti che restituiscono un po’ di nobiltà al calcio dei milionari, attimi che rimandano a un’epica dello sport lontana nel tempo ma ancora viva e pulsante grazie a uomini come Gigi Riva. Calciare un pallone non è poi tanto difficile, infondere felicità e coraggio soltanto col proprio esempio è una cosa che ha a che fare con gli uomini veri.