I ragazzi della Sardegna e la memoria della Shoah
SASSARI. Quale memoria possono avere i ragazzi dell’Olocausto e delle persecuzioni naziste? E al di là delle giornate di commemorazione fissate sul calendario, quale può essere il valore del ricordo...
SASSARI. Quale memoria possono avere i ragazzi dell’Olocausto e delle persecuzioni naziste? E al di là delle giornate di commemorazione fissate sul calendario, quale può essere il valore del ricordo se il rispetto dell’altro non diventa pratica quotidiana? Parte da qui il cortometraggio “Quale memoria” realizzato dai giovani registi lombardi Eugenio Di Fraia e Gianni Lacerenza che in questi giorni sta facendo il giro della Sardegna in occasione della Giornata della memoria.
Il tour, organizzato dai comitati provinciali di Sassari dell’Arci e dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), è partito nei giorni scorsi dalle scuole medie sassaresi, per fare poi tappa ieri (martedì) a Ozieri e infine oggi (mercoledì) in alcune scuole medie di Olbia. Alle proiezioni e al dibattito ha partecipato Eugenio Di Fraia, reduce dall’esperienza come secondo assistente alla regia nel film di Paolo Virzì “Il capitale umano”, e adesso al lavoro su un progetto commissionato dall’Anpi di Milano per i 70 anni della Liberazione nel 2015. Di Fraia, insieme al collega Lacerenza, nel 2011 ha seguito i ragazzi della scuola media di Cassina de’ Pecchi (in provincia di Milano) nel viaggio di istruzione al campo di concentramento di Mauthausen, raccogliendone reazioni, impressioni e riflessioni. Il risultato non è un documentario né un video ricordo, ma la Memoria vista dai ragazzi, e soprattutto un invito a valutare come sia possibile consegnare alle nuove generazioni il ricordo della Shoa, qualcosa di tragico che però non hanno provato, lontano nel tempo e dall’orizzonte dell’adolescenza.
«Il titolo “Quale memoria” è un po’ provocatorio – spiega Di Fraia – è una domanda ma anche un’affermazione perché ciò che volevamo chiederci è se sia davvero giusto parlare di memoria, perché nessuno di noi ha davvero esperienza di ciò che è successo nei campi di sterminio. Se questa giornata che si celebra ogni anno, spesso in maniera distaccata, ha ancora un valore o se non si debba invece ricorrere ad altri modi per ricordare, soprattutto con i ragazzi che nella preadolescenza sono presi da altri problemi».
Il video alterna volutamente scene di vita scolastica, come la lettura in aula del classico “Se questo è un uomo” di Primo Levi, alla visita a Mauthausen. Filo conduttore sono sempre gli sguardi e le voci dei giovani protagonisti. «All’ingresso a Mauthasen i ragazzi appoggiano le mani sul muro freddo mentre ascoltano dei brani di Liliana Segre che all’epoca della deportazione aveva proprio la loro età, 13 anni – continua il regista – gli studenti lo ricordano come uno dei momenti di maggiore impatto emotivo. Il nostro obiettivo era anche questo, far venire fuori le sensazioni, le emozioni, perché la comprensione di ciò che è stato non avvenisse soltanto a livello nozionistico. Perché se non c’è una appropriazione interiore, una consapevolezza di quanto è avvenuto, le nozioni servono a poco». I grandi temi – fede, diversità, razzismo – su cui i ragazzi si soffermano mentre percorrono la scalinata della morte di Mauthausen si intrecciano ai piccoli, grandi problemi dell’adolescenza, dal primo amore al bullismo, all’incomunicabilità. «È qui che le immagini del quotidiano sovrapposte a quelle della Shoah, mucchi di corpi ammucchiati contrapposti ai giovani corpi dei ragazzi che si abbracciano, giocano, sorridono - conclude Di Fraia - fanno intuire che il ricordo autentico deve passare, più che da sterili commemorazioni, dal rispetto della persona, a partire dal compagno di banco a scuola».