La Nuova Sardegna

Olbia: abbandonati dopo l’inferno d’acqua

di Guido Piga
Olbia: abbandonati dopo l’inferno d’acqua

Le storie di chi fatica a ricominciare, attese e speranze spesso deluse I vetrai Bonannini: «Ci siamo rimessi in moto senza la mano pubblica»

24 febbraio 2014
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OLBIA. Non per farla lunga, ma nella storia moderna della Gallura (che poi è l’unica possibile, essendo la provincia prima del Cinquecento spopolata) c’è un tema ricorrente - “lo Stato, che cosa è?” - che l’alluvione di Olbia, e più ancora quello che è successo dopo, o meglio non è successo, ha riportato prepotentemente d’attualità. Perché la presenza dello Stato, inteso in tutte le sue articolazioni, dagli alluvionati non è stata sentita forte, vicina, solidale. Come illumina la vicenda della vetreria Bonannini: distrutta dall’acqua nella zona più colpita della città e rimessa in sesto dai proprietari e dai loro amici. Senza la mano pubblica, in poche settimane. Una storia come tante. «E non vogliamo stare qui a lamentarci, funziona così» dicono i fratelli Maurizio e Francesco Bonannini.

Ecco, sarà pure una suggestione, ma l’Olbia post-nubifragio, fatte tutte le dovute contestualizzazioni storiche, tre mesi dopo l’alluvione sembra tornata indietro nei tempi. A quelli dei galluresi degli stazzi sotto gli spagnoli e sotto i piemontesi, che si chiedevano che cosa fosse, lo Stato, e perché chiedesse il pagamento della tasse, se loro facevano tutto da sé, senza chiedere nulla a nessuno e quindi legittimati a non voler ricevere alcuna richiesta. Come l’Olbia anarchica e solidale. La città si è fatta da sola - negli anni del boom tra gli anni ’60 e ’70 - e ora continua a muoversi così: “faccio da me senza aspettarmi nulla dallo Stato - è il pensiero diffuso - e do una mano a chi, come me, sta male”.

Senza questo radicalismo, è appunto questa la posizione della famiglia Bonannini. Che lavora il vetro dal 1974 e che, nella sua azienda in via Tre Venezie, una delle più flagellate, ha subìto danni rilevanti. «Ci siamo rimessi in piedi, a fatica, sì, ma ora vediamo un po’ di luce», spiegano Maurizio e Francesco, che hanno ereditato l’attività dal padre, Giovanni. Se si chiede loro, “avete avuto una mano dalle istituzioni?”, la risposta è garbata ma ferma: «No». E ci sarebbe poco da aggiungere, se non fosse che la loro spiegazione conferma la latitanza dello Stato: «Non vogliamo lamentarci, e infatti non lo abbiamo fatto. Fare polemica non ha molto senso. Non siamo i soli in questa situazione. Possiamo solo dire che abbiamo rimesso in moto la nostra attività grazie al nostro lavoro, al contributo straordinario degli amici, e alle altre aziende. Alcune, visti i danni, ci hanno dato più lavori da fare. Altre, quelle che ci forniscono i materiali, ci hanno concesso più tempo per i pagamenti. Che cosa possiamo dire? Che tutto questo è stato commovente».

Ripartire non è stata un’impresa da poco. Perché i Bonannini sono stati vittime due volte, in due punti diversi della città: l’alluvione ha investito la vetreria, in via Tre Venezie, appunto, nella zona Baratta; e anche il magazzino, in via Goceano.

«Il 18 novembre nella sede di via Tre Venezie, in cui ci sono gli strumenti per la lavorazione del vetro e dell’alluminio, ci siamo trovati con oltre un metro d’acqua - spiegano Maurizio e Francesco -. Nel magazzino di via Goceano, in cui sono ospitati i macchinari per il polistirolo, l’acqua ha raggiunto un metro e sessanta centimetri. Tutti i mezzi, che sono elettronici, sono andati in tilt, e anche in questo caso dobbiamo ringraziare diverse aziende che, vista la situazione, ci hanno dato gratis alcuni pezzi di ricambio».

L’azienda dei Bonannini, che occupa 5 dipendenti, è rimasta ferma per due settimane. «Anche se, con le persone che ci hanno dato una mano, due giorni dopo l’alluvione avevamo ripulito tutto - dicono ancora i fratelli -. Però i macchinari hanno faticato a riprendere il loro normale funzionamento, e ancora oggi hanno qualche guaio dovuto alle infiltrazioni dell’acqua».

Nonostante tutto - il padre, che si gode la pensione nella casa di via Tre Venezie, ha perso anche tre auto - i Bonannini ce l’hanno fatta: «Non diciamo che l’emergenza è superata. Perché non lo è: né per noi né per tanti olbiesi, ma adesso guardiamo al futuro come maggiore ottimismo». Che è l’unica prospettiva - insieme alla rassegnazione - nell’attesa che qualcosa lo Stato faccia.

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