La Nuova Sardegna

«No a speculazioni, l’oro verde è nostro»

di Pier Giorgio Pinna
«No a speculazioni, l’oro verde è nostro»

Regione e naturalisti contro il saccheggio. Multinazionali pronte a usare i vuoti normativi per brevettare i geni della flora sarda

03 giugno 2014
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SASSARI. Un muro. Tutti in difesa dell’ambiente. Tutti contro le multinazionali. Tutti contro chi vuole depredare la flora dell’isola brevettando geni e principi attivi custoditi nelle nostre piante. Dalla Regione ai naturalisti, passando per gli autonomisti e per le forze del centrosinistra, non c’è chi non veda pericoli all’orizzonte. Nei decenni scorsi i sardi sono già stata depredati anche su questo versante. E nessuno oggi pare intenzionato a ripetere l’errore di lasciar fare a chi profitta di vuoti normativi per lucrare sul patrimonio altrui.

Allarme. Gli ultimi a segnalare il caso di un gruppo olandese pronto a svilupparsi in questa direzione sono stati gli indipendentisti del Fronte unito. «Posso comunque escludere che la Regione abbia dato autorizzazioni a questa società», chiarisce l’assessore Elisabetta Falchi. Ma qual è il problema di fondo con esattezza? La questione è semplice. Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, è possibile prelevare il germoplasma delle specie botaniche e poi sfruttarlo a livello industriale. Così Big Pharma e tutte le multinazionali che producono e vendono semi tentano di allargare le produzioni marchiando con il loro copyright alimenti e farmaci dopo aver prelevato patrimonio genetico e principi attivi nelle terre dove sopravvivono le piante endemiche. Per riuscirci devono saccheggiare popolazioni che attraverso la tradizione agricola e il ricorso alle erbe medicinali le hanno custodite per secoli. E questo è il rischio concreto che la Sardegna corre. Perché in questi anni la Regione non ha mai recepito i fondamenti della legislazione nazionale e internazionale posta a tutela dei localismi.

Le proteste. Ma tutto ciò, secondo numerosi amministratori e operatori economici sardi, «equivarebbe a brevettare arbusti ed erbe sottraendoli poi di fatto alla nostra disponibilità effettiva sul mercato». «Non sarebbe una novità, purtroppo: negli anni Ottanta e Novanta gruppi australiani hanno raccolto in Sardegna trifogli sotterranei per poi rivenderceli sotto forma di sementi», commenta il docente di botanica dell’università Ignazio Camarda, uno dei professori che da più tempo si batte in difesa delle nostre specificità naturalistiche. «E non è finita qui: come direttore del Centro regionale per la biodiversità ho ricevuto spesso richieste da parte di società americane che si spacciano per équipe di ricerca ma a un controllo attento non hanno alcun requisito sul piano scientifico: quasi inutile dire che a loro non ho mai dato benestare o via libera», conclude Ignazio Camarda.

Gli spazi possibili. Certo è comunque che, a dispetto del fronte compatto di opposizioni, le multinazionali non si perdono d’animo. E cercano di destreggiarsi nei buchi delle reti di protezione aperti tra la Comunità europea, Roma e Cagliari. Tanto da suscitare immediate controreazioni. Come il rilancio della proposta di una Banca sarda del seme. E far innalzare altre barricate in difesa del patrimonio dell’isola. «Perché», non si stancano di sottolineare in parecchi, «non si vede come mai, di fronte a risorse così uniche e straordinarie quali sono le nostre, i sardi dovrebbero stare a guardare anziché diventare veri protagonisti nelle chance offerte dal settore».

Le prospettive. Ma se andranno in porto le iniziative legislative promosse di recente, il quadro normativo regionale fornirà agli stessi sardi opportunità finora poco battute. Idee. Fondi. Linee di sviluppo collegate anche alle specie botaniche a rischio estinzione. Programmazioni in passato trascurate. Che avrebbero meritato più attenzione, come i piani per valorizzare le piante officinali: stanziamenti Ue ingenti a volte sono andati perduti per incuria nella preparazione dei progetti. «Al contrario di quanto hanno fatto altre Regioni meridionali, più pronte di noi ad approfittare di qualsiasi buona occasione», rilevano diversi altri operatori. Che in conclusione sottolineano ancora: «Nel caso dello sfruttamento del nostro oro verde, a ben vedere, oggi c’è soltanto sollevare la testa e far valere sino in fondo tutti i nostri diritti».

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