La Nuova Sardegna

La legalità cedette il passo alla «galleria degli orrori»

di Daniela Scano

Il 3 aprile del 2000 settanta agenti in mimetica fecero una mattanza nelle celle I detenuti furono fatti spogliare e poi furono massacrati prima di essere trasferiti

02 luglio 2014
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SASSARI. Il giudizio più duro, una fotografia fatta di parole, è contenuto nella sentenza che applica la prescrizione. «Quel giorno nella casa circondariale di Sassari si passò da un luogo di detenzione legale, dove la libertà è privata a seguito di precise regole, anche costituzionali, a luogo dove la legalità cedette il passo alle manifestazioni di istinti, di rancori repressi, di spirito di rivalsa, di volontà di mostrare la propria durezza al nuovo comandante». Quando scrisse queste parole, nel 2010, il giudice Massimo Zaniboni del tribunale di Sassari era consapevole che il tempo aveva giocato a favore dei sette agenti imputati di avere partecipato alla più violenta ritorsione collettiva che uomini in divisa abbiano mai messo in atto nei penitenziari italiani. Quando il giudice descrisse quella che definì “la galleria degli orrori” di San Sebastiano, nelle motivazioni della sentenza di uno dei tanti processi, erano trascorsi dieci anni da quella mattina del 3 aprile del 2000.

Era l’ora d’aria quando, rispondendo a una chiamata collettiva ai penitenziari di tutta l’isola, settanta agenti in mimetica entrarono nelle celle e nei “passeggi” del carcere e cominciarono a picchiare selvaggiamente i detenuti dopo averli costretti a spogliarsi. Ad attenderli nella grande rotonda c’erano i vertici dell’amministrazione penitenziaria: il provveditore regionale Giuseppe Della Vecchia, la direttrice del carcere Maria Cristina Di Marzio, il nuovo comandante Ettore Tomassi. Di quest’ultimo è rimasta, a eterna memoria del delirio collettivo di quel giorno, l’immagine di un uomo ebbro di potere che nella sala colloqui trasformata in stanza delle torture urlava “sarò il vostro dio” ai detenuti nudi e sanguinanti. Poi si disse che la situazione era sfuggita di mano, che qualcuno si era fatto male durante un trasferimento di massa ma solo perché aveva reagito. Non era andata così.

Tutto era cominciato il 17 marzo quando, richiamati dal clamore mediatico scatenato dalla rumorosa “rivolta delle posate” sbattute dai detenuti contro le sbarre per protestare contro le condizioni di vita nel carcere, a San Sebastiano erano arrivati cinque commissari del Comitato parlamentare per i problemi nei penitenziari. Quel giorno i detenuti parlarono, raccontarono, denunciarono ad alta voce cose che raggelarono il sorriso sui volti dei vertici dell’amministrazione penitenziaria. E anche il carcere, la vecchia prigione, si presentò nella sua veste lisa e indecente. Giuseppe Della Vecchia disse di non essersi mai vergognato tanto. Qualcuno doveva pagare per quella cocente umiliazione. Il 3 aprile, mentre i detenuti sfilavano nudi verso la sala colloqui, qualcuno in divisa forse provò paura e vergogna. Ma nessuno alzò un dito per ristabilire lo stato di diritto. Anche questa è storia.

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