La Nuova Sardegna

Una legge potrebbe affondare il processo

di Piero Mannironi
Una legge potrebbe affondare il processo

Nascosto in una norma sull’agricoltura un articolo che solleva per le aree militari le soglie di tolleranza dell’inquinamento

13 luglio 2014
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SASSARI. Le sentenza, si sa, vanno rispettate. Ma non per questo devono essere sterilizzate e rese immuni da giudizi, valutazioni e, soprattutto, non possono essere ignorati gli effetti che producono. Soprattutto una sentenza come quella sul "caso Quirra" non può restare prigioniera di una realtà processuale cristallizzata. Perché nasce in un panorama politico e sociale complesso e in movimento. Impossibile ignorare oggi che il poligono interforze del Salto di Quirra, cioè l'epicentro della vicenda giudiziaria, sia sul tavolo di uno scontro politico-istituzionale tra il Governo e la Regione Sardegna che per il momento è difficile valutare nella sua evoluzione. Il governatore Francesco Pigliaru ha ripreso in mano con un certo vigore politico un'antica vertenza - quella sulle servitù militari - che, con l'esperienza di Cappellacci, sembrava essere entrata in un colpevole letargo. Anestetizzata nelle sue ragioni profonde e perfino rimossa dall'agenda politica del centrodestra.

Il rinvio a giudizio di otto alti ufficiali delle forze armate, al di là della valutazione sulle possibili responsabilità e del depotenziamento del capo d'imputazione, dimostra che a Quirra ci potrebbe essere un problema. Cioè una situazione che merita un approfondimento in un processo. È lo Stato che mette una sua articolazione importante sul banco degli imputati e valuta se siano stati messi in essere comportamenti e prese decisioni contrari alle norme penali. Una situazione fino a pochi anni fa ritenuta impossibile.

Ma questa sentenza ha un peso enorme soprattutto perché rompe un tabù: l'intoccabilità della tecnocrazia militare. È stato cioè violato un santuario, aperto un varco in un mondo chiuso e circondato dai solidi bastioni del segreto. Una riservatezza che ha consentito sempre di annullare la possibilità di critica e di giudizio morale, in nome dell'interesse superiore della sicurezza nazionale. Comunque vada ora il processo, resta oggi il fatto che si è rotto qualcosa di intimo e profondo che rendeva l'universo delle stellette quasi irresponsabile per le proprie scelte. Certo, ora al processo si presenteranno sul banco degli imputati generali e colonnelli, ma nell'aula del tribunale di Lanusei, nel prossimo settembre, ci sarà un convitato di pietra. Cioè quel blocco di potere militare e industriale che ha complesse innervazioni anche nel mondo della politica e che ha un'enorme potere di influenza nelle scelte strategiche ed economiche della Difesa. È lì, in quel solido blocco di interessi che, se saranno accertate, c'è la vera responsabilità di quanto è accaduto nei 13.400 ettari di Quirra negli ultimi sessant'anni. I generali affronteranno il processo, ma nella sostanza rischiano di essere delle pallide comparse.

E che questo sistema si stia già muovendo per evitare maggiori complicazioni giudiziarie è in alcune coincidenze che non possono essere ignorate. Prima di tutto il fatto che, secondo alcune indiscrezioni, da oltre un anno si è messa in moto dentro il poligono la macchina delle bonifiche. C'è stata prima una capillare attività di caratterizzazione nelle aree più inquinate: la discarica sotterranea di Is Pibiris, le aree delle esercitazioni a fuoco e quella dei brillamenti, cioè dove venivano fatti esplodere gli armamenti obsoleti. Poi, come se non bastasse, è cominciata una gigantesca operazione di ripulitura dei fondali marini davanti a Capo San Lorenzo. Per questa "operazione pulizia" sembra che sia stato mobilitato personale Nato altamente specializzato. La contraddizione evidente è che, mentre in un'aula di giustizia veniva negato l'inquinamento, nel poligono erano in corso le procedure di bonifica.

Ma ciò che più ha sorpreso è stata la tempistica con la quale è stato approvato il decreto legge 91 dello scorso 24 giugno. Un provvedimento che di fatto cancella per legge l'inquinamento nelle aree militari. Il meccanismo è semplice e purtroppo già collaudato: basta sollevare le soglie di tolleranza delle sostanze inquinanti e nocive per risolvere il problema. "Una furbata" dicono gli ambientalisti. E sicuramente è un’astuzia politica il fatto che le nuove regole sull’inquinamento nei siti militari siano state nascoste in un decreto legge intitolato: “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea”. Norma interclusa? Più che altro norma nascosta, perché si deve arrivare all’articolo 13 del decreto per scoprire che per le zone militari «si applicano le concentrazioni di soglia di contaminazione di cui alla Tabella 1, colonna b, dell’allegato 5, alla Parte IV, Titolo V» del Codice dell’Ambiente. In parole povere, in questo modo, solo per citare qualche esempio, lo stagno potrà avere un concentrazione nel suolo fino a 350 volte superiore, mentre potranno essere centuplicati i valori dei cianuri (da 1 a 100 mg/kg). Lapidario e tagliente il giudizio di Angelo Bonelli dei Verdi: «È un evidente regalo al ministero della Difesa, che in questo modo potrà evitare di intervenire sui numerosi siti di propria competenza».

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