La Nuova Sardegna

Il rifiuto di Tony Pagoda: «No, non partecipo»

di Daniela Paba
Il rifiuto di Tony Pagoda: «No, non partecipo»

Iaia Forte alla “Notte dei poeti” nel personaggio del romanzo di Sorrentino “Hanno tutti ragione”

28 luglio 2014
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Irriconoscibile e travolgente, Iaia Forte ha regalato al pubblico di Nora un cinico quanto poetico Tony Pagoda. Il personaggio creato da Paolo Sorrentino nel romanzo “Hanno tutti ragione”, interpretato da Toni Servillo nel film “Un uomo in più”, rinasce più guappo che mai, alla Notte dei poeti.

Iaia Forte ne fissa i tratti in un condensato di sordida vitalità che si nutre dell'avanspettacolo melò di matrice napoletana come della deriva di solitudine che avvolge i nightclub newyorkesi, nel momento esatto in cui Tony Pagoda sta per esibirsi al Radio City Music Hall, davanti a Frank Sinatra. Parrucca laccata, giacca nera di paillette con le iniziali TP esagerate, camicia rossa e cravatta, stivaletto bicolore, anelli enormi e occhiali fumé, Tony P. esordisce con un'invettiva: «Non sopporto i manager, quelli di ampie vedute, le anoressiche, il commercio equo e solidale, gli stilisti, i registi, gli artisti di strada, i collezionisti, gli infermieri con gli zoccoli e nemmeno me stesso, sopporto». Il pubblico gli corrisponde, conquistato dall'irriverenza del linguaggio, dall'alternarsi di monologo e canzoni, dai duetti con Noemi, fan altrettanto tamarra, dalla “vanità malsana” dei suoi quarantaquattro anni, carichi e feroci. Tony Pagoda cantante cocainomane che per tutta la vita vorrebbe restare un ragazzo, racconta la paura del pubblico, i conati trattenuti, la salivazione bloccata, l'emozione delirante dell'artista chiuso nel camerino reso da Iaia Forte con un montaggio di descrizioni, ricordi, emozioni di rara intensità, dove a ogni parola corrisponde un gesto, un camminare esagerato, un rincorrere il sublime per poi sbracarsi, altalenare riflesso in uno specchio femminile.

Basta un gesto largo per dipingere sul cielo all'imbrunire, l'intrico dei grattacieli di N.Y. dove Pagoda cerca rifugio nel districarsi per «fingere quello che non siamo: adatti al mondo» e annegare la propria delusione in una limousine dove tira cocaina come dovesse tirare giù l'Empire State Building mentre imbarca prostitute di vario colore. La solitudine di chi deve reggere il personaggio «in grado di spezzare il cuore a un serial killer svedese», distrarsi a fine giornata per essere derubato dei dollari e dell'anello milionario descrive la parabola quotidiana di Tony Pagoda. Che racconta un sogno: lui bambino di dieci anni, le mani strette tra il padre e la madre, felice e sicuro come non mai dal loro dire che non moriranno. E' un uomo stanco, Tony Pagoda, quando si gira l'ultima volta verso il pubblico, di una stanchezza amica della libertà, quella che gli consente di dire: «No, non vengo, non partecipo». Un diniego valido per tutti, critica a una società dove perfino lo spettacolo ha lasciato il posto all'aperidrink.

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