La Nuova Sardegna

il caos nei trasporti marittimi

di Alfredo Franchini
il caos nei trasporti marittimi

CAGLIARI. Quella che raccontiamo è un’Odissea imprenditoriale in giro per il Mediterraneo. Storie di armatori, seri o improvvisati, che prima del tentativo di GoinSardinia, hanno conosciuto l’onta...

05 settembre 2014
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CAGLIARI. Quella che raccontiamo è un’Odissea imprenditoriale in giro per il Mediterraneo. Storie di armatori, seri o improvvisati, che prima del tentativo di GoinSardinia, hanno conosciuto l’onta del fallimento o comunque hanno dovuto ritirarsi dall’impresa. Se prendiamo come riferimento il nuovo secolo, sono ben diciassette le imprese naufragate in vari modi, in meno di tre lustri. Siccome l’Italia ha una ricca tradizione di imprese monopolistiche, la storia ruota attorno alla Tirrenia e quindi c’è un prima e un dopo. La “preistoria” è quella che riguarda i tentativi fatti sino al 2012 quando la compagnia guidata oggi da Ettore Morace era tutta in mano pubblica; dopo il 2012 la storia s’inizia con l’ingresso nell’azionariato di Tirrenia degli armatori privati, primo tra tutti Vincenzo Onorato, proprietario della Moby Lines.

Dei tentativi tutti sardi, a parte quello della «Sardamare» che risale al 1944 e di cui parleremo alla fine, il più clamoroso è, ovviamente, quello della Saremar, trasformata in flotta sarda dall’ex presidente Ugo Cappellacci. Sembra passato un secolo ma eravamo tra il 2011 e il 2012 quando il dibattito sul caro tariffe si era spostato dalla sede della Regione alle aule dei tribunali.

Cappellacci sfida Tirrenia e tutti gli altri armatori e lancia la flotta sarda ma l’Antitrust di Bruxelles chiede la restituzione di quasi undici milioni di euro in quanto la Regione è caduta nella trappola negli aiuti di Stato. Di recente Grandi navi veloci ha vinto una battaglia legale contro Saremar perché, per il giudice, poco importa se gli armatori si fossero messi d’accordo per alzare le tariffe dei traghetti. Il sostegno che la Regione fornì alla Saremar, che per due anni collegò l’isola con Vado Ligure e Civitavecchia, con due navi a prezzo calmierato, non poteva essere dato. Veniamo alle altre avventure. Nel Mediterraneo, inteso nel senso più ampio come si definiva una volta, da Gibilterra al Bosforo, i maggiori tentativi sono stati fatti sulle rotte tra Liguria, Sardegna e Corsica. In molti ricordano la Happy Lines. L’aveva realizzata un imprenditore genovese, Monducci, nel 1999 con l’intento di dare un collegamento stabile tra La Spezia e Bastia. Quattro anni di attività portarono al fallimento, con tre cause civile e il sequestro dei traghetti.

Per una decina d’anni e sino al 2002 operò la compagnia ligure, Tris, che noleggiò un trimarano per collegare Genova-Porto Vecchio e Palau, rotta che, in precedenza, era stata gestita da un armatore napoletano, Parascandolo. La compagnia arrivò al fallimento e fu rilevata da alcuni importanti armatori che la ribattezzarono Enermar. I nuovi imprenditori la rilanciarono e poi la rivendettero al gruppo Di Maio che tenne la rotta aperta solo per un anno e poi fu bancarotta.

Bordeggiando per il Mediterraneo si può arrivare in Africa. Ci provò un tour operator di Bergamo, Marini Travel con un collegamento tra Savona e Tangeri. Si dovette scontrare, però con una compagnia pubblica del Marocco, la Comanav. E soprattutto ebbe la disavventura di un naufragio sul Mar Rosso con una nave che trasportava un migliaio di pellegrini dalla Mecca. La Comanav finì in bancarotta. Liguria-Sicilia è un collegamento da sogno: ci provò Viamare, (partecipata Tirrenia) ma durò solo due anni; a Viamare subentrarono i Benetton con Stradeblu e per finire T-Link. Altre sei tentativi sono falliti nell’Adriatico e sulle rotte tra la Puglia, l’Albania, la Croazia. Tutto s’iniziò nel ’44 con Sardamare voluta dagli industriali delle Province sarde. Era il momento in cui si potevano ottenere le navi liberate dalle clausole dell’armistizio. La compagnia nacque con l’assegnazione di un piccolo motoveliero mentre le furono negate le motonavi più grandi. Il ministero della Marina spiegò che l’interesse dello Stato era per tre compagnie: Tirrenia, Adriatica e Italia. Quella sarda non aveva spazi commerciali.

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