La Nuova Sardegna

Bellizzi: basta psicosi, il dramma è in Africa

di Giovanni Bua
Bellizzi: basta psicosi, il dramma è in Africa

L’epidemiologo sassarese di MsF: «A Monrovia respingiamo i malati, l’Europa mandi fondi»

20 ottobre 2014
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SASSARI. È tornato da qualche giorno da Monrovia, in Liberia. E a fine mese partirà in Guinea. Perché sono saltati turni e riposi, turn-over e vacanze. E quando l’epidemiologo sassarese di Medici senza Frontiere, Saverio Bellizzi, non è in Africa a combattere Ebola è in giro per l’Italia e l’Europa a parlarne. Con il cuore spezzato a metà. «Da una parte – spiega il 37enne uscendo da un incontro al San Raffaele a Milano – rassicuro le persone sui rischi praticamente nulli di contagio. Dall’altra vorrei strappare la maschera rassicurante e urlare a tutti la tragedia che l’Africa sta vivendo. Inimmaginabile».

Il dramma. L’epicentro del dramma è diventata la Liberia. Dove aveva contratto il virus l’ultimo morto europeo: l’ufficiale medico dell’Onu di nazionalità sudanese deceduto nei giorni scorsi nella clinica Saint Georges di Lipsia, nell’est della Germania. Morte che, unita a vari falsi allarmi in Italia e primi casi veri di malattia in Belgio, Spagna e Regno Unito, hanno fatto di nuovo esplodere la psicosi Ebola. «Che bisogna assolutamente – dice secco Bellizzi – smontare pezzo per pezzo. Tanto per iniziare nessuno si è ammalato di Ebola in Europa. È successo che siano arrivati già malati dalle zone calde africane. Sono casi molto sporadici, curabili. E che comunque non hanno mai generato pericoli concreti di contagio, men che mai di massa».

Psicosi. Il motivo è semplice: «Ebola si trasmette per contatto diretto con una persona ammalata, che ha sintomi molto evidenti. Il virus non si trasmette per via aerea. Né se il paziente lo sta solo incubando». Quindi nessuna possibilità che gli ammalati arrivino nei barconi dei clandestini e dei rifugiati: «Ebola in una settimana o dieci giorni sviluppa sintomi che, senza trattamenti adeguati, portano rapidamente alla morte. I migranti hanno almeno un anno di viaggio alle spalle. I malati muoiono in cammino».

Virus volante. Remoto l’arrivo tramite aereo, soprattutto dopo che gli ultimi casi hanno alzato ai livelli massimi l’allerta. «Io sono tornato dalla Liberia una settimana fa. La temperatura mi è stata misurata tre volte prima di farmi imbarcare in aereo. E ho compilato vari moduli per verificare se avevo dei sintomi. Questi controlli ora in alcuni paesi come la Gran Bretagna verranno fatti anche all’arrivo. In Italia dunque, che non ha voli diretti con la Liberia, prima di sbarcare un viaggiatore sarà già stato controllato due volte».

Attenzione. L’attenzione va comunque tenuta alta, soprattutto se si è rientrati da una zona a rischio. «Certo – spiega l’epidemiologo di MsF – . Anche se non basta esserci stati per sospettare di aver contratto la malattia. Bisogna aver avuto un contatto stretto, lavato o toccato una persona visibilmente ammalata ed essersi poi portati le mani al naso o alla bocca. Di solito chi si ammala è chi lavora con Ebola e non rispetta i protocolli. Comunque anche se ci si ammala basta rivolgersi alle strutture dedicate presenti nel territorio. In Europa, in Italia e anche in Sardegna abbiamo tutti i mezzi necessari per curare Ebola al meglio».

Monrovia. Diversa la situazione in Africa, drammatica, da incubo. Se in Nigeria infatti si è dimostrato che Ebola si può combattere con successo, in Liberia la situazione è esplosa. «La strategia nigeriana, la stessa che stiamo attuando in occidente– sottolinea Bellizzi – è stata tempestiva e ha funzionato. Hanno rintracciato le persone che erano state a contatto con i malati. Li hanno isolati, monitorati. Lo stesso siamo riusciti a fare in Guinea: un successo. Ma a Monrovia è impossibile. I casi sono troppi. Potenzialmente tutti sono a contatto con Ebola. Stiamo provando a distribuire kit igienici nelle zone povere. Servono a proteggersi se si ha un malato in casa. O un morto: a Monrovia molti muoiono a casa. E i cadaveri sono estremamente contagiosi».

Europa egoista. E proprio a Monrovia si consuma il dramma: «Siamo costretti a respingere i malati: sono troppi. Non abbiamo i posti, le risorse».

L’Europa insomma non si preoccupi del suo orticello blindato e inattaccabile, ma alzi lo sguardo per vedere cosa sta succedendo in Africa. «Noi ci occupiamo di Ebola dal 1976 e ce ne occupiamo nella realtà estrema di questi Paesi dell’Africa. Nessuno aveva mai visto niente di simile. Né lo avrebbe mai voluto vedere».

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