La Nuova Sardegna

I missili a Perdasdefogu Quando per lo spazio si partiva dalla Sardegna

di Giacomo Mameli
I missili a Perdasdefogu Quando per lo spazio si partiva dalla Sardegna

di Giacomo Mameli Il successo del robot Philae dell'Esa (Ente spaziale europeo) – approdato con puntualità svizzera a 510 milioni di chilometri da noi nella cometa 67P Churyumov-Gerasimenko – ha...

26 novembre 2014
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di Giacomo Mameli

Il successo del robot Philae dell'Esa (Ente spaziale europeo) – approdato con puntualità svizzera a 510 milioni di chilometri da noi nella cometa 67P Churyumov-Gerasimenko – ha fatto riparlare del ruolo dell'Europa nella ricerca scientifica. Non solo America e Russia, non solo Cina e India, ma anche il Continente di Galilei. E con la sonda europea che ha portato nello spazio la prima donna astronauta italiana, Samantha Cristoforetti, c'è da chiedersi perché la Sardegna – terra di estesi poligoni tra terra e mare – non sia stata coinvolta in questa missione che ha fatto riparlare in tutto il mondo dei “grandi traguardi dell'umanità”. Sarebbe stata una sciagura se AstroSamantha fosse volata verso le stelle decollando dalla terra dei nuraghi?

L’Europa nello spazio. La prima avventura spaziale europea, scientifica, era nata in Sardegna – quando ancora non osava la Rinascita – con i lanci dei razzi Contraves e degli Hawk. Il battesimo avvenne alle 13.30 del 25 ottobre 1956 con quattro missili “a carica di combustibile ridotta”. Erano le stesse immagini che abbiamo visto in tv da Baikonur. Perdasdefogu divenne così la “Cape Canaveral italiana”. E arrivavano “spie ufficiali e non” dei governi degli States e di Mosca. Volevano capire se l'Europa poteva impensierire i colossi che sfidavano lo spazio per sbarcare sulla luna.

L'avventura di Philae e della sonda madre Rosetta ha creato professionalità e posti di lavoro nei laboratori torinesi di Thales Alenia Space. A collaborare con le aziende Finmeccanica si sono distinte le università di Padova, la Parthenope di Napoli, il Politecnico di Milano, l'istituto di Astrofisica e planetologia spaziali di Roma per una scommessa durata dieci anni e vinta – dettaglio stupefacente – con appena 58 secondi di ritardo. E la Sardegna? E le università sarde? E i tanti Ipsia nati per immettere sul mercato tecnici informatici ed elettronici? Quanto lavoro qualificato si sarebbe creato nelle zone divorate dalla crisi e dallo spopolamento come quelle fra Perdasdefogu e Villaputzu se il poligono di Quirra avesse continuato nella sua mission, che era la ricerca scientifica?

Giornalisti e scienziati. Il Poligono di Perdasdefogu – lo si legge in documenti ufficiali del ministero della Difesa – era sorto «per scopi scientifici» specificando che si puntava a «ricerche meteorologiche e spaziali». Fu così in principio. Si lanciavano razzi «per lo studio della ionosfera e della stratosfera». La Sardegna balzò sulle cronache mondiali. Tra i primi giornalisti di grido c'era “il re degli inviati italiani”, Egisto Corradi. Scriveva per Il Corriere della Sera, aveva combattuto la seconda guerra mondiale, era fra i componenti della Brigata Jiulia che con la Tridentina e la Cuneense faceva parte dell'Armir (corpo di spedizione italiana in Russia). Aveva dormito in una locanda, aveva goduto delle «selve petrose di Bruncu Santoru» e delle «vallate sotto l'Oceano eocenico del Planu Alussera ai piedi del trapezio Cardiga». Aveva voluto conoscere "il carrolante" che nel 1956 aveva recuperato col carro a buoi i resti di un missile esploso durant. e il volo. «La supertecnologia dello spazio fa ricorso a una delle prime invenzioni dell'uomo preistorico», aveva commentato. Corradi era un professionista del mito. Ripeteva che «il giornalismo si pratica con gli occhi e con la suola delle scarpe». Guardava e camminava. A Quirra aveva battuto a piedi o sulle jeep dell'Aeronautica tutte le postazioni. Aveva ammirato la “Torre Gigli”, una Eiffel foghesina interamente in ferro e così battezzata dal cognome dell'ingegnere che l'aveva progettata. Svettava nella serra di “Perda Is Furonis” da dove venivano lanciati i primi razzi. Era appena sorta la Esro (European Spatial Research Organisation) con la partecipazione di sei nazioni (con l'Italia anche Francia, Belgio, Germania, Regno Unito e Olanda). Prima della fusione con la Eldo (European Launcher Development Organisation) e la successiva creazione - 1973 - dell'attuale Esa, era stata la Esro a calamitare «in uno degli angoli più sperduti della Sardegna» il fior fiore degli astronomi e dei fisici delle maggiori università europee. Foghesu ne era la capitale virtuale. Molti i ricercatori degli atenei olandesi (da Utrecht, Rotterdam e Groningen), dal Regno Unito giungevano da Manchester e da Cambridge e da St. Andrews.

Il Von Braun italiano. In Italia brillavano gli studiosi piemontesi anche perché un fisico, detto il Von Braun italiano, il professor Luigi Broglio, torinese, era stato creatore del progetto San Marco. E così un paese che fino a quegli anni aveva un solo laureato (Salvatore Spano, in Medicina a Brescia nel 1911) si ritrovò «pieno di dottori e di professori»: Erano guidati da uno scozzese simpaticissimo, Robert Pooley, direttore dei programmi scientifici che si svolgevano su colline di calcare e di silice. Pooley, rigoroso nella ricerca scientifica, quando si ritrovava nelle bettole e nelle case di Foghesu era un paesano che amava il ballo sardo, mangiava capra arrosto e beveva acquavite negli ovili. Al pastore Giovanni Corona aveva detto: «Questa grappa è buona come il nostro whisky». Fra mondo accademico e agropastorale si creò comunità. Sui grandi giornali nazionali – sul Times, su Le Figaro – si leggevano titoli sulla ricerca nello spazio ancorata in «un villaggio di pietre e capre ma – diceva Corradi – col futuro davanti a sé perché qui nascerà l'Europa che competerà con la Nasa e con le basi dell'Urss».

Dalla scienza alle armi. La storia ha tradito quel verso. L'originale natura scientifica del Poligono di Quirra è andata scemando negli anni. Il ministero della Difesa, il governo nazionale nella sua interezza, alla ricerca scientifica ha privilegiato gli armamenti. La sonda Philae ad altissima tecnologia poteva essere studiata, progettata, realizzata fra i nuraghi. La Sardegna avrebbe potuto avere tutte le caratteristiche per ospitare gli esperimenti delle missioni Ulysses e Giotto che hanno precorso la Rosetta. Attorno al solo esperimento Philae hanno lavorato, per oltre dieci anni, oltre 2600 ricercatori. E la Sardegna? Zero. Eppure all'università di Cagliari si costruiscono i mattoncini per approdare su Marte. Ma nei grandi progetti scientifici – quelli che creano professionalità e buste paga – la Sardegna non ha voce. Che cos'è il Distretto Aerospaziale?

La Sardegna con l'orticaria antindustriale non sa proporre. I droni? In Puglia. Nichi Vendola non protesta, anzi. Il poligono di Quirra non ha quel “futuro europeo” che sognava Egisto Corradi.

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