«Una legge per scegliere di morire con dignità»
L’ex dirigente del Pci e presidente della Provincia di Cagliari ai leader della politica: sono malato, vi chiedo di avere il diritto e la libertà di decidere sulla fine della mia vita
CAGLIARI. Se rendere pubblica una tragedia intima, raccontando il proprio oceano interiore di dolore per farlo diventare un gesto di sostanza politica è un atto di coraggio, allora Walter Piludu è un uomo di grandissimo coraggio. Sessantaquattro anni, una lunga militanza politica nel Partito comunista e amministratore fino al 1990, Piludu nelle scorse settimane ha scritto una lettera, civilissima e drammatica, ai leader della politica italiana per sottoporre loro - come dice lui stesso - «una questione al tempo stesso personale e generale: il problema del fine vita».
Nell'agosto del 2011 gli è stata infatti diagnosticata la Sla, la sclerosi laterale amiotrofica. Malattia devastante che spegne progressivamente il corpo, lasciando crudelmente integra la capacità di pensare lucidamente e di sentire gioia, paura e tristezza. «Posso scrivere questa lettera – dice Piludu – solo grazie a un computer a comandi oculari».
Una sintesi della missiva, spedita ad Angelino Alfano, Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Giorgia Meloni, Mario Monti, Matteo Renzi, Matteo Salvini e Niki Vendola, è stata pubblicata l'altro ieri su Repubblica nella rubrica tenuta da Corrado Augias. Il titolo, sintesi sempre imperfetta di problemi complessi, è comunque di una ruvida efficacia: “Ho la Sla, voglio decidere quando morire".
Piludu dopo aver raccontato la sua condizione, spiega: «Queste notazioni credo siano utili per tentare di trasmettere una specifica concretezza ad una questione che altrimenti potrebbe essere declinata a mera questione filosofica astratta. Peraltro, ad onta della mia condizione, non sono afflitto da fisime suicidarie e, anzi, facendo leva sulle mie residue risorse intellettuali, sulla vicinanza di alcune care amicizie e, soprattutto, sugli affetti familiari, riesco tuttora a trovare un senso alla mia esperienza umana».
Continua Piludu: «Sono però del tutto consapevole del mio destino: sempre che non intervenga prima una fatale crisi respiratoria che sopravanzi l'azione meccanica del respiratore, sono condannato a perdere completamente – più prima che poi – le mie funzioni vocali. A tale evento - non aggirabile, secondo il mio attuale sentire, da nessun marchingegno elettronico per ragioni sia pratiche sia spirituali - io ho deciso di collegare il punto finale della mia vita. Non avendo avuto in dote alcuna credenza religiosa e avendo il sereno convincimento che la morte sia la fine di tutto, non prendo affatto sottogamba questo tema. Appunto perché la vita è una, unica, irripetibile esperienza, essa deve poter essere vissuta senza essere avvertita come una insopportabile prigione. C'è, insomma, un diritto inalienabile, di dignità e di libertà, che deve essere garantito ad ogni persona».
Parole terribili, ma incredibilmente serene, di una consapevolezza e di una dolente lucidità. Piludu chiede poi alla politica come potrà realizzare questa sua volontà: «Perché costringermi ad andare in Svizzera invece di poterlo fare vicino ai miei affetti, nella mia terra, nella mia patria?».
Quella di Piludu non è una richiesta di morte, ma di libertà, di potere di decidere. Infatti dice: «Naturalmente, c'è sempre la possibilità che, al momento cruciale, io possa cambiare idea o perdere la forza necessaria. Ma se la mia determinazione avrà la meglio sulla mia eventuale incertezza, mi chiedo e vi chiedo: è accettabile, è umano, è pietoso costringere una persona e i suoi cari ad un tale fardello di prolungata, indicibile sofferenza?».
Walter Piludu, per sua esperienza culturale sa che i problemi che pone sono complessi per la politica che è costretta a misurarsi con «una pluralità di convincimenti ideali, appartenenze ideologiche, considerazioni di opportunità, valutazioni di utilità». E ancora: «Anche la non decisione è una decisione. So che l'essenza, vorrei dire la nobiltà, della politica sta nella sua capacità di osare, nel coraggio di assumere decisioni in grado, a volte in tempi imprevedibilmente rapidi, di rendere migliore la vita delle persone e della società».
E infine la domanda, l’invito, la richiesta sul “fine vita”: «Vi chiedo che senza sgargianti bandierine di parte e senza querule primazie propagandistiche, almeno su un tema come questo, si riesca a trovare l'inedito coraggio di una sostanziale intesa che stimoli la predisposizione di un serio e approfondito disegno di legge».