La Nuova Sardegna

Un dirigente non si è arreso al “sistema”

di Mauro Lissia
Un dirigente non si è arreso al “sistema”

Niente firma per avallare un appalto truccato, respinti gli ordini dei vertici Udc: Sergio Bariosco ha preferito dimettersi

22 dicembre 2014
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CAGLIARI. Almeno uno ha provato a smontare il sistema Igea, la ricca società per le bonifiche industriali dove a leggere gli atti dell’inchiesta l’Udc sembrava fare il bello e il cattivo tempo: si chiama Sergio Bariosco, fino alle dimissioni rassegnate il 29 novembre dell’anno scorso era il direttore generale. Nel mondo di mezzo sulcitano, che non rispetta neppure i morti e vende in cambio di voti pure i mezzi storici usati da padri e nonni, la figura di Bariosco esce limpida dalla prova delle indagini giudiziarie, eccezione alla regola della connivenza che a scorrere le carte del procedimento penale con 66 indagati sembra prevalere su qualsiasi altro valore. Bariosco compare nell’episodio del muro di sicurezza, che a sentire la cricca pilotata dall’autista-operaio Marco Tuveri – plenipotenziario dell’Udc-ramo Igea - doveva essere realizzato d’urgenza a Nebida per contenere una strada a rischio di crollo.

Il candidato dell’Udc. Bisogna raccattare voti per il candidato Marco Zanda, dipendente Igea e figura emergente del partito guidato da Giorgio Oppi: l’ordine è arrivato dall’alto. Così se il lavoro non è urgente diventa «di somma urgenza» per portare a casa l’assunzione a termine di quattro operai nell’impresa amica che avrebbe incassato l’appalto bandito sottocosto e senza l’ombra di una selezione pubblica. L’operazione è un concentrato di illegalità, che il gip Giuseppe Pintori racconta anche nei dettagli tecnici nella sua ordinanza: Tuveri chiama l’impresario Riccardo Putzolu, gli spiega che «non gli frega un cazzo» del muro, gli dice che servono le assunzioni a scopo elettorale e inventa su due piedi il muro «a gabbioni» tenendo l’importo dei lavori sotto la soglia dei 40 mila euro. Vuole evitare la gara, malgrado gli uffici Igea avessero indicato una cifra ben superiore: 140 mila euro. Lo scavalco. Si va avanti - scrive Pintori - scavalcando allegramente gli uffici Igea, compreso il direttore Bariosco. E ad affidare l’incarico a Marco Zanda e Tuveri è proprio lui, Bista Zurru, l’uomo di Oppi, presidente dell’Igea finito ai domiciliari e tornato in libertà l’altro ieri. Emerge l’approssimazione con la quale il duo Zanda-Tuveri conduce il gioco: il Comune di Iglesias chiede quale sia il luogo esatto dei lavori, Tuveri risponde che non è necessario indicarlo con precisione: «So io dov’è». Il 3 maggio 2013 il commissario straordinario del comune di Iglesias Antonio Giovanni Ghiani invia una lettera al presidente dell’Igea, confermando a richiesta quanto Tuveri denunciava: quell’intervento è urgente e necessario. Qui avviene un fatto incredibile, documentato dalle indagini: la lettera di Ghiani viene protocollata agli uffici Igea lo stesso giorno, che era venerdì. L’impiegata Valeria Cadau, responsabile dell’ufficio di direzione generale, la riceve ma non la passa al direttore Bariosco. Al contrario la gira direttamente a Zanda e Tuveri, che producono un «verbale di somma urgenza» col quale dispongono un sopralluogo presso la scarpata di Nebida, luogo dell’intervento richiesto.

Il sopralluogo fantasma. Non c’è traccia del sopralluogo, mentre compare d’incanto la ditta Rst srl di Putzolu, disponibile a eseguire i lavori. Tuveri e Zanda - senza alcun parere di un tecnico qualificato - decidono che l’intervento si fa coi gabbioni di pietre. Il tono delle comunicazioni telefoniche è sbrigativo e «la spregiudicatezza di Tuveri e dei suoi sodali - scrive il giudice - si spinge fino a concordare il termine entro il quale concludere i lavori e le persone da assumere». Tuveri fa i nomi dei quattro operai – Anfonso Peddis, Claudio Melis, Mauro Caria e Martin Cuccuru - da dividere tra le imprese di Putzolu e di Luca Giganti. Le elezioni di Nebida premiano Zanda con 133 voti, quindi l’operazione sembra riuscita. Qualcosa però si inceppa: i lavori vengono sospesi, la Provincia - che non aveva autorizzato l’intervento - dispone un sopralluogo. Tuveri si agita, cerca di mettere una pezza, di fare in modo che la Provincia mandi un tecnico compiacente. In caso contrario si scoprirebbe - scrive il gip - che l’intervento è stato avviato senza gara d’appalto, senza progetto, cartografie e calcolo statico. Telefonate concitate, si cerca un ingegnere che metta una firma per avvalorare la bontà dell’opera. In una telefonata Tuveri riferisce all’amante Daniela Tidu che il presidente Zurru ha sentito puzza di bruciato «ed è andato con questo Mario Cabriolu a pararsi il culo, che lui una cosa così non la può firmare».

Zurru si defila. In sostanza Zurru sembra aver paura di guai e prende le distanze da Tuveri malgrado avesse appoggiato pienamente l’iniziativa. Le cose precipitano: il 9 luglio Tuveri viene informato da Zanda che la Provincia ha mandato una lettera di sollecito all’Igea e all’assessorato, chiede la documentazione sull’intervento di Nebida. Ma è qui che entra in scena Bariosco: servirebbe la sua firma per regolarizzare la pratica, lui però si mette di traverso. Zanda parla con Tuveri, si lamenta del fatto che Bariosco non ceda. L’autista lo rassicura: «E’ già minacciato e adesso firma». Invece il dirigente si rivela duro e puro: «Bariosco - scrive il giudice Pintori - era l’ostacolo principale al tentativo di regolarizzare a posteriori l’iter amministrativo, il dirigente aveva ben presente che l’opera era stata appaltata per motivi elettorali e non aveva alcuna intenzione di sanare ex post le illiceità commesse». Tuveri taglia corto: chiede di mandarlo via e Giampaolo Del Rio lo appoggia dicendo che cacciando il dirigente avrebbero «fatto contento anche Giorgio Oppi». Ma è Bariosco, stanco di combattere da solo contro autisti e impiegati che comandano in Igea come fosse casa loro, sceglie di dimettersi. Lui, mosca bianca in un verminaio maleodorante che l’inchiesta dei carabinieri di Iglesias ha portato alla luce.

Le indagini. Il lavoro dell’Arma e del pubblico ministero Marco Cocco non è finito: l’inchiesta punta ai livelli più alti del sistema Sulcis. Le previsioni espresse nei giorni scorsi parlano di una fase-bis con nuovi arresti e nuovi indagati.

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