La Nuova Sardegna

il processo

Raffaele Arzu si è pentito: «Sì, quella rapina l’ho fatta io. Ora sono una persona diversa»

di Pierluigi Sposato
Raffaele Arzu
Raffaele Arzu

Grosseto, l'ex primula rossa del banditismo sardo condannata per il colpo alle Poste di San Quirico risalente al settembre 2003. Lo aveva incastrato il dna di un capello dopo i prelievi fatti per l’assalto al portavalori nel 2010

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GROSSETO. Si è dichiarato colpevole e pentito, prima ancora che il pm indicasse come prova schiacciante della sua partecipazione alla rapina il dna nel capello del cappello ritrovato nell'auto della fuga, chiedendo cinque anni e 2.000 euro.

«È un reato di 13 anni fa, la mia persona è diversa. Capisco di aver sbagliato, chiedo solo una condanna più umana: e basta». Breve la dichiarazione di Raffaele Arzu, 36 anni, uno dei più pericolosi banditi sardi, inserito nella lista dei 30 maxi latitanti fino a sei anni fa, quando venne catturato. Una dichiarazione che non gli ha potuto, naturalmente, evitare la condanna.

Per quel colpo a mano armata, a volto coperto e in concorso alle Poste di San Quirico di Sorano, del 2 settembre 2003 (2.100 euro il bottino), Arzu ha avuto 3 anni e 1.500 euro in aumento rispetto alla condanna pronunciata dal Tribunale di Arezzo per un fatto analogo nell'ottobre 2006 (10 anni e 6 mesi).

I giudici (Puliatti presidente, Di Vincenzi, Stramenga) hanno anche dichiarato l'estinzione per prescrizione per gli altri due reati contestati alla ex primula rossa, cioè il porto abusivo della Beretta mod. 80000 calibro 9x21 dalla matricola in parte abrasa e la ricettazione della Fiat Uno rubata il 2 settembre di quello stesso 2003 a Castel Giorgio di Terni, nonché dei 16 proiettili e della pistola.

Superscortato (quattro agenti della polizia penitenziaria più altri due uomini in borghese), Arzu ha assistito al processo accanto al suo avvocato Caterina Calia. Ha ascoltato il pm Stefano Pizza che ha comunque ricordato i precedenti gravissimi, nonostante la presa di distanza, e si è detto contrario alla concessione delle attenuanti generiche; l'accusa aveva comunque già notato che il tempo di commissione degli altri due reati aveva superato i limiti della prescrizione.

Il dna di Arzu era stato ricavato in un altro procedimento, quello sull'assalto al portavalori nei pressi del lago dell'Accesa (7 gennaio 2008 ) che aveva causato la morte della guardia giurata Raffaele Baldanzi: da quelle accuse il bandito era stato comunque prosciolto. Ma, ed era il 2010, da quel momento era stato riaperto il caso di San Quirico, che fino a quel momento aveva visto solo la punizione dell'unico dei tre banditi catturato, in flagranza, Marco Pili (3 anni). Un terzo complice - che fuggì con Arzu sulla Uno ritrovata a un paio di chilometri di distanza - è rimasto ignoto.

Il difensore aveva sottolineato che la vita di quest'uomo che a venti anni aveva commesso il primo reato (rapina a Castel Raimondo) non può essere contaminata dall'attribuzione di tutte le rapine ai portavalori commesse in Italia. Era stata l'avvocato Calia a sollecitare una pronuncia di condanna in continuazione con la sentenza di Arezzo, ricordando che da 6 anni Arzu è in carcere e che gli ultimi reati contestati risalgono a sette anni fa. I giudici hanno preso sessanta giorni per depositare le motivazioni.

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