La Nuova Sardegna

Discesa agli inferi a Dolceroma, capitale d’Italia

di Pasquale Chessa
Discesa agli inferi a Dolceroma, capitale d’Italia

In libreria “Dormiremo da vecchi” di Pino Corrias La Roma dei cinematografari specchio della nazione

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di Pasquale Chessa

Roma c'è, ma è un fantasma di città, seppure nitido come un ologramma, un profilo virtuale campito nel cielo vuoto dei luoghi comuni dell'immaginario universale. Dolceroma si chiama infatti, nome da pasticceria per significare i confini di un territorio fittizio in cui tutto il mondo “appare” senza doversi prendere il disturbo di “essere”. Un sottomondo senza futuro perché senza passato, e quindi senza storia.

È il cinema, bellezza! Al centro c'è Oscar Martello, motore di ogni narrazione, incarnazione figurale di ogni nefanda miseria. È lui il protagonista. Ma non è un eroe.Con grande maestria Pino Corrias lo ha messo al centro del suo romanzo appena uscito per l’editore Chiare Lettere, “Dormiremo da vecchi” (249 pagine, 16,90 euro), non come eroe negativo, il cattivo della trama, ma facendone solo e soprattutto un gaglioffo: «Uno che va dritto anche quando ci sono le curve». Vive in un caleidoscopio di visioni fantasmagoriche, forse anche per via del combinato disposto fra droga, alcol e psicofarmaci, come ben si addice a un produttore cinematografico di inarrestabile successo, in un susseguirsi frenetico di strepitose case, feste rutilanti, donne mozzafiato, costose opere d'arte moderna, politici potenti, palazzinari danarosi, sceneggiatori sfigati, giornalisti corrotti, poliziotti tristi: un'allucinazione collettiva che spinge tutti sempre più su, verso i piani alti del Supermondo di Dolceroma. Martello ne decide i destini, ne governa le esistenze, ne gestisce i sentimenti come un demiurgo, o meglio un alchimista imbroglione che ha scoperto la pietra filosofale con cui trasformare in denaro ogni narrazione.

Corrias è scrittore naturale: le storie che intreccia sembrano disporsi da sole nel romanzo, guidate dalla forza stessa delle parole, in un fluire continuo che impedisce al lettore di fermarsi per capire se si tratti di realtà o di finzione. Sottile arte della sprezzatura, «far si che ciò che si fa, e dice, sembri venir fatto senza fatica» (Leopardi, “Zibaldone”). Così la macchina del racconto gira leggera senza attriti ingannando i personaggi stessi del romanzo: Oscar Martello non si rende subito conto di aver cominciato la sua discesa agli inferi, quando mette in scena una finta storia d’amore, per far credere si tratti invece di un rapimento criminale, allo scopo di lanciare il suo ultimo film, «No, non mi arrendo!», storia di una donna sola contro la Mafia che le ha ucciso il marito.

Sul principio la truffa mediatica riesce, il tema civile fa breccia, il film macina incassi, e lo spettacolo potrebbe continuare senza intoppi se la protagonista del film, Jacaranda, non decidesse di suicidarsi dopo aver postato in rete un video in cui svela tutto l'indicibile su Martello, a cominciare dalla corruzione di una minorenne, cioè lei stessa sedicenne, che fa precipitare il produttore demiurgo nell'abisso di nefandezze da cui cinque anni prima era emerso conquistando l'intera Dolceroma. Il sottomondo e il sopramondo si toccano, anzi sono la stessa cosa.

La palingenesi finale è affidata a un incendio purificatore, annunciato fin dalla prima pagina, che funziona come una metafora morale. Per farla facile, per situare culturalmente “Dormiremo da vecchi”, si potrebbe citare una sintesi dei due romanzi di James Ellroy (“L.A. Confidential” e insieme “Black Dalia”), a cui aggiungere due mitiche controinchieste giornalistiche, “Hollywood Babilonia” di Kenneth Anger, del 1959, e prima ancora, 1958, “I sette peccati di Hollywood” di Oriana Fallaci, anche lei scrittore-cronista. Per farla un po’ più difficile, il riferimento al finale del “Giorno della locusta” di Nathanael West, è un atto dovuto. La Dolceroma di Corrias, come la Hollywood del 1939 di West per l’America, è la parte per il tutto, sineddoche del paese intero, Dolceitalia!

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