Nella soggezione al Potere il disonore degli uomini
COSTANTINO COSSU. «La specie umana si distingue da quella degli altri viventi per due qualità precipue. L’una costituisce il disonore dell’uomo; l’altra, l’onore dell’uomo. Il disonore dell’uomo è il...
COSTANTINO COSSU. «La specie umana si distingue da quella degli altri viventi per due qualità precipue. L’una costituisce il disonore dell’uomo; l’altra, l’onore dell’uomo. Il disonore dell’uomo è il Potere. Il quale da sempre si fonda nella società umana sul binomio padroni e servi – sfruttati e sfruttatori. L’onore dell’uomo è la libertà dello spirito. In quanto onore dell’uomo, per definizione la libertà dello spirito, sia come espressione sia come godimento, è dovuta a tutti gli uomini. Ogni uomo ha il diritto e il dovere di esigere per sé e per tutti gli altri la libertà dello spirito. Tale esigenza universale non può essere attuata finché esiste il Potere».
Non è di Pierpaolo Pasolini questa citazione. E’ di Elsa Morante, dal “Piccolo manifesto dei comunisti (senza classe né partito)”. Ma non è abusiva. L’autrice dell’ “Isola di Arturo” e de “La Storia” e il poeta delle “Ceneri di Gramsci” erano diversi in molte cose (Pasolini, ad esempio, non avrebbe mai usato la parola “spirito”), ma accomunati da un istinto primario che li portava a distinguere con minutissima precisione ogni piccola piega della vita (quella di tutti i giorni, in famiglia, nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole) in cui il Potere (entrambi usavano la P maiuscola) infiltra da sempre il suo veleno.
Il Pasolini corsaro più importante, dunque, non è quello che denunciava dalle colonne del Corriere della sera le responsabilità dei livelli alti della politica nello stragismo degli anni Settanta. Molto più utili sono oggi le pagine straordinariamente profetiche in cui lo scrittore bolognese descrive la mutazione antropologica degli italiani prodotta dalla crescita e dallo sviluppo industriali. Il Potere, nell’analisi di Pasolini, ha il volto del neocapitalismo. Un Potere che non solo cancella praticamente del tutto la vecchia cultura contadina, ma corrompe gli operai (la classe antagonista, il soggetto rivoluzionario) e ogni altra articolazione della società, trasformando tutti in un’unica, indistinta massa di consumatori. Una trasformazione minuta, molecolare, che ha proceduto molto più nell’intimità privata di ogni singola esistenza che sulla scena pubblica, sulla scena della politica e della grande storia. Pasolini aveva capito che quel Potere aveva annullato, già nei primi anni Settanta, ogni possibilità di opposizione. «Per me – dice in una delle ultime interviste – la parola speranza non ha più significato».